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Nello Spazio di Pulsar

Pulsar è il progetto audiovisivo del compositore elettronico Leonardo Pucci. La sua musica electro-ambient è fatta di piano, sintetizzatori e batterie: un viaggio attraverso il vuoto dello Spazio. Il suo secondo album Nebula uscito l’8 aprile 2022 per Rous Records.

Hai suonato la batteria negli Espada e nei Danny Mellow. Sei passato dal rock all’elettronica, come è nata la passione per questo genere e per i synth? Cosa ti ha spinto a diventare un compositore elettronico?

Suono tuttora la batteria nei due gruppi, anche se meno frequentemente rispetto al passato, ma al tempo stesso dal 2015 circa è nata la passione per i synth e per la sperimentazione, cosa che mi ha spinto a iniziare un progetto da solista di musica elettronica. Questa passione è nata da una serie di fattori che in quel periodo hanno scaturito in me la curiosità per questo mondo. In primis, grazie ai concerti organizzati dalle diverse associazioni culturali della mia città, in particolare con il Dancity Festival, specializzato in musica elettronica, ho scoperto molti nuovi artisti che hanno cambiato  gradualmente i miei gusti musicali. Il primo synth che ho comprato è stato un Theremin subito dopo un concerto di Vincenzo Vasi, da li è nata la “malattia” per tutte le macchine che producono suoni elettronici e c’è solo il portafoglio a frenarmi dal prenderle tutte. Poi una menzione particolare va a un album che più di tutti gli altri ha cambiato il modo di approcciarmi alla musica, Spaces di Nils Frahm. Quando l’ho scoperto per caso navigando sul web, ho avuto una specie di folgorazione e ho detto: “Ok, questo è quello che vorrei provare a suonare”.

Il tuo è un progetto audio/video dall’anima sia elettronica sia acustica-melodica. Una dualità che si ripete costantemente a partire da Nebula realizzato con strumenti elettronici e acustici, il cui titolo ha un doppio significato. Qual è il tuo lato da Dottor Jekyll e quale quello da Mister Hyde pronto ad uscire e scatenarsi?

Negli ultimi anni ho scoperto molto il lato calmo e rilassato della musica e di conseguenza anche il mio. Ascolto sempre di più dischi dalla natura “classica”, suonati con strumenti acustici, come pianoforte, archi, fiati, cercando di coglierne tutte le piccole sfumature di melodia e di dinamica. Ma allo stesso tempo sono sempre stato affascinato dai ritmi incalzanti e dai suoni caldi, talvolta “sporchi”, dei synth analogici, e questa dualità è venuta fuori ancora di più in un album come Nebula che è stato scritto e registrato in un periodo in cui le contraddizioni emotive erano all’ordine del giorno. Si viveva nella calma dell’isolamento ma si ricercava la frenesia di quando tutto questo non era mai accaduto. Forse è stato proprio questo che mi ha portato a far uscire fuori questa dualità che è stata poi il motore trainante dell’album.

Quali sono le principali differenze tra Empty e Nebula?

Empty è stato un contenitore vuoto che piano piano ho riempito di piccoli esperimenti di forma e genere differenti. Neanche io sapevo inizialmente dove sarei andato a parare la prima volta che ho messo mano a un synth e che ho iniziato a scrivere della musica da solo, ero abituato a suonare in gruppo e a scrivere principalmente solo le parti di batteria, quindi i brani vanno in direzioni molto diverse l’uno dall’altro e prendono spunti da generi differenti. Con Nebula invece il processo di scrittura è stato molto diverso, la direzione in cui andare era ormai stabilita. L’idea di base era quella di rendere tutto più dilatato e sospeso, di provare a dare la sensazione di fluttuare nel vuoto mantenendo comunque l’aspetto “cinematico”, come se fosse una colonna, cosa che già era venuta fuori nel primo disco. La cosa difficile è stato poi rendere tutto questo in musica, spero di esserci riuscito.

Parlando di Nebula hai dichiarato che «non c’è niente di più bello del nostro pianeta, ed è per questo che dobbiamo rispettarlo e preservarlo». Che ruolo ha e cosa può fare un musicista in merito alla crisi climatica e ambientale che stiamo vivendo?

Un musicista ha in qualche modo il ruolo di divulgatore e attraverso il suo lavoro può lasciare un messaggio, che sia esplicito o nascosto tra le righe, ma può raggiungere l’ascoltatore e cercare di indirizzarlo, o quantomeno ricordargli che è il momento di fare qualcosa di concreto per salvaguardare l’ambiente, il nostro pianeta e quindi noi stessi. Io nel mio piccolo cerco di fare la mia parte, non è molto e sicuramente il mio messaggio non andrà molto lontano, ma se tutti noi ci impegniamo nel nostro quotidiano qualcosa sicuramente cambierà. Non saremo noi a fare la differenza ma i grandi cambiamenti partono sempre dal basso.

Il sassofono di Laura Agnusdei arricchisce tre tracce di Nebula. Come è nata questa collaborazione? Potrebbe continuare in futuro questo sodalizio artistico e quale artista ti piacerebbe avere su un tuo lavoro?

Ho conosciuto Laura qualche anno fa, quando è venuta a suonare all’Holydays Festival per presentare il suo primo disco da solista. Da quel momento siamo diventati amici e siamo rimasti sempre in contatto, lei è tornata spesso a Foligno per diversi progetti, quali anche una residenza artistica, e io sono andato diverse volte a Bologna, partecipando anche a un suo workshop sulla sonorizzazione di film muti.

Nel 2019 è capitato di suonare insieme a Roma al Klang, dove abbiamo sperimentato e mischiato i miei suoni elettronici con la voce del suo sax e da quel momento ho pensato che mi sarebbe piaciuto collaborare con lei. Così qualche tempo dopo le ho chiesto se le andava di registrare qualcosa sopra le mie nuove tracce e il risultato è secondo me incredibile, considerando che è stato registrato tutto in un piccolo scantinato di Bologna con dei ragazzi che al piano di sopra stavano facendo un house concert in streaming.

Spero davvero che ci siano altre occasioni per poter suonare insieme, magari anche in altre forme e con altri progetti, perché suonare con Laura è sempre molto stimolante, staremo a vedere.

In questo momento non saprei quale artista mi piacerebbe avere su un mio prossimo lavoro. Ho diversi artisti e amici che ammiro molto e con i quali mi piacerebbe suonare, ma per ora non mi sbilancio, voglio che sia una sorpresa anche per me.

Qual è il tuo synth preferito e perché?

Chiaramente il synth preferito è sempre quello che non hai. Mi piacerebbe molto avere il Juno 60, il classico dei synth analogici, non ho mai suonato l’originale, purtroppo solo la replica, però il suo suono caldo e pieno si sente in tantissimi dischi, vecchi e nuovi. Purtroppo averne uno costa come una macchina usata e quindi per ora rimane solo un sogno. Quindi più realisticamente, tra i miei synth quello che preferisco è il Korg MS20 mini, per il suo suono irripetibile. È stato il mio primo sintetizzatore, dopo la follia del Theremin, ed è quello che ancora riesce a sorprendermi. Ho pensato più volte di rimpiazzarlo, magari con un synth più piccolo e più facile da portare in giro, ma per ora non sono riuscito a trovarne uno che mi soddisfi come il mio MS20.

Chi sono i tuoi punti di riferimento nella musica?

Da qualche anno a questa parte i miei punti di riferimento nella musica sono il già citato Nils Frahm, i suoi live con il palco pieno di strumenti acustici e vecchi sintetizzatori sono qualcosa di indescrivibile. Poi un altro pilastro dei miei riferimenti è Ólafur Arnalds, la sua musica che ascolterei per ora mi porta in uno stato di calma e concentrazione, e infine Rival Consoles con i suoi suoni elettronici ed il suo modo di creare pattern decisamente unico.

Che consigli daresti ai giovani che si avvicinano al mondo dell’elettronica?

Il consiglio che darei ai giovani che si avvicinano all’elettronica, ma direi anche alla musica in generale, è quello di sperimentare sempre e di non fermarsi all’idea che ci sia una regola precisa per fare musica. Cercare sempre di andare oltre gli schemi e ricercare quello che più piace e fa stare bene.

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Prendetevi del tempo per ascoltare un bel disco e iniziate a viaggiare con la vostra mente, lasciatevi trasportare dove vuole lei, ogni volta è un’esperienza diversa, io lo faccio spesso.

Leggi la recensione dell’album Nebula QUI


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