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Lentius Profundius Suavius: un introverso canto di protesta

“Più lento, più profondo, più dolce”. Con queste parole Alexander Langer auspicava un cambiamento culturale, ambientale e sociale tale da poter capovolgere una società sempre più frenetica e totalmente orientata sulla superficialità del consumismo.

Sono passati quasi trent’anni dalla sua morte e il mondo, o meglio l’essere umano, pare non aver colto questo messaggio, forse addirittura peggiorando la situazione. Qualcuno, però, ha deciso di seguire le sue parole a tal punto da intitolarci un disco.

L’album in questione è Lentius Profundius Suavius, in uscita il 3 marzo 2023 per Maple Death Records, ultima fatica di Krano, uno che ha sempre dimostrato con la sua musica di prendersi tutto il tempo necessario e di rifuggire dalle logiche del mercato. L’avevamo lasciato ben sette anni fa, con il concept sul Piave di Requiescat in Plavem (2016), un corpo ibrido capace di inglobare folk rock, attitudini honky tonk e grezzume slacker.

Oggi lo ritroviamo coerente con quella proposta ma innovato negli episodi e nelle influenze incanalate. Così, se in apertura Pusterno ha tutti i connotati della ballatona trascinante folk rock, a metà fra un Dylan e un Bill Fay, già nella successiva See ci sono echi di Nashville Sound à la Gary Stewart.

Anima r’n’r e dialetto veneto si sposano alla perfezione nel riff di Vaslin, mentre la ditta Robbie Basho/John Fahey entra a gamba tesa nel primitivismo di Moron. Echi psichedelici si avvertono nel canto disperato di Soa, perfetto prequel della litania da taverna abbandonata di Sototera.

Lentius Profundius Suavius è tante cose: un disco folk nel senso più ampio possibile, un’idea di musica e di vita, un messaggio mistico e criptico mediato attraverso un genere storicamente diretto. Quello di Krano è in un certo senso sia canto di protesta che manifesto di esistenzialismo, un disco che sa essere tanto estroverso quanto introverso. Ascoltare per credere.



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