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Fossora: la discesa al centro della terra (e di se stessa) di Björk

Dopo cinque anni dal suo ultimo lavoro, Utopia, Björk torna in scena con un album che prende spunto dalle sonorità del precedente, ma che le capovolge arricchendole in modo più oscuro e minimale.

Ormai siamo ben lontani dai primi lavori dell’artista di Reykjavik, Fossora è un ritorno alle radici, una discesa inarrestabile dalle alture celesti alle profondità naturali della terra dove regnano sovrani clarinetti e bassi potenti e incisivi.

L’album è prodotto da Björk e registrato da Bergur Thorisson è stato pensato, immaginato e ideato dall’artista durante il lungo periodo di pandemia che ci ha recentemente colpito: un periodo così lungo da far crescere radici profonde ai piedi dell’artista che l’hanno messa in comunione non solo con la propria terra natale, ma con la condizione moderna, attuale, del mondo intero. Viviamo in un era di contraddizioni, dove un’utopia non è più raggiungibile in modo automatico soltanto attraverso la volontà e il desiderio, ma per raggiungerla è necessario prima toccare il fondo, scavare in profondità e portare in superfice tutto l’orrore e le negatività che avvelenano la nostra terra. “Fossora” è un termine inventato dalla stessa Björk, una versione femminile della parola “scavatore”, ed è in quella precisa parola che l’artista si identifica.

L’album contiene i contributi di Serpentwithfeet, il figlio di Björk, Sindri, e la figlia, Isadòra, il sestetto per clarinetto Murmuri, The Hamrahlíð Choir; Emilie Nicolas; Kasimyn of Gabber Modus Operandi; side project; El Guincho; molti dei collaboratori acustici islandesi di Björk; clarinetti, bassi, archi, tromboni ed altro ancora.

Attraverso sonorità ostiche, a volta discordanti, Björk riesce a creare nella mente e nell’animo dell’ascoltatore una sensazione di pressione, di disagio, che ha come obiettivo porre attenzione sugli effetti che la deriva del nostro mondo hanno sulle nostre relazione e sul nostro modo di vivere. In un’epoca dove le diversità sono sempre più evidenti, dove il menefreghismo nei confronti della natura e della terra è percepito come un pericolo costante, non c’è spazio per melodie “tranquille”, serene, rilassanti, ma servono suoni crudi di bassi, dei fiati, ritmi incalzanti a scuotere le coscienze. Ed è in questo modo che si apre Fossora, con Atopos, un brano violento, in continua crescita ed evoluzione, dove la voce lirica di Björk è una parentesi lieta, ma allo stesso tempo flebile.

In Ovule, secondo brano del disco, scendiamo oltre il primo strato della superfice terrestre accompagnati da una base elettronica distorta e sincopata e da suoni di trombone ed altri fiati. Andando avanti l’orecchio si posa su Mycelia, brano contraddistinto da incessanti intrecci di cori a cappella che aprono la strada al brano successivo: Sorrowful Soil, omaggio alla donna, e attivista che l’ha cresciuta: Hildur Rúna. Qui attraverso la creazione di un paesaggio sonoro delicato e minimalista, sottolinea la dolcezza e la splendente umanità della madre, omaggio che viene ripreso anche in Her Mother’s House, dove la voce di Björk è accompagnata da quella della figlia Isadora.

Attraverso l’ascolto di Fossora ci rendiamo conto che Björk sta scavando nei propri disagi interiori per far emergere, attraverso la sua singolarità, quelli del mondo circostante, alternando le proprie vibrazioni tra la disperazione e la speranza. Ed è proprio in questo contrasto che si inseriscono i vari brani del disco, tra tutti l’oscura Victimhood che grazie ai suoi potenti suoni bassi e al suo ritmo minimale, ondeggia sul filo del rasoio tra rabbia e sconforto, minaccia e arresa.

È chiaro che Fossora non si presenta come un disco-soluzione, ma più come un disco-ricerca quasi una espiazione. Björk mette per iscritto, trasforma in note e suoni i pensieri di cinque anni di “isolamento”, di raccolta, di ricerca interiore e li traduce in un lavoro che vuole darci gli strumenti, in questo caso sonori, per riuscire ad accettare e convivere con il presente, con noi stessi, ma anche per riuscire ad avere la forza di muovere i primi passi verso quell’utopia di cui ci parlò cinque anni fa.



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