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La nuova pelle degli I Hate My Village

Tra il 2018 e il 2019 quattro pesi massimi della musica italiana (inizialmente solo Fabio Rondanini e Adriano Viterbini, poi anche Alberto Ferrari e Marco Fasolo in pianta stabile) danno vita ad un progetto dalla duplice proposta: scardinare i triti e ritriti clichè sulla fantomatica world music e cercare di allargare questo discorso sonoro contaminandosi “a vicenda”.

Se il secondo compito è facilmente assolvibile, dato il curriculum dei musicisti in questione, più interessante è la sfida, a tratti inedita, con cui il progetto I Hate My Village si è cimentato prima con il debutto omonimo del 2019 e poi con l’Ep Gibbone (2021). La proposta, semplicisticamente riassumibile come rock psichedelico, in realtà va ben oltre la definizione stantia che possiamo immaginare nel 2024: a cavallo fra afrobeat, ritmi à la Fela Kuti, echi tishoumaren zona Mdou Moctar e una fascinazione tanto per le jam session quanto per certe sonorità math, è evidente quanto l’etichetta “rock psichedelico” sia riduttiva.

Il nuovo Nevermind the Tempo, in uscita il 17 maggio 2024 per Locomotiv Records, propone tanto di continuare il discorso intrapreso quanto di risolvere diversi punti di incertezza inevitabilmente scaturiti da una tale fusione di generi e influenze. Ed effettivamente basta anche solo un primo e rapido ascolto per notare una compattezza e una crescita non banale nei dieci pezzi del disco.

Sacrificando parzialmente le sfuriate e l’approccio free del debutto, la percezione è che l’attenzione verso la forma canzone sia stata una prerogativa del disco, come testimonia tanto il groove dell’opening Artiminime quanto lo psych soul di Italiapaura.

Suoni tuareg permeano la cavalcata di Mauritania Twist, mentre Erbaccia, tra i momenti migliori del disco, scompone il blues per farne una forma ibrida e angosciante, a tratti noise. Anche nel finale c’è spazio per qualche highlights degno di nota, su tutti la strumentale Dun Dun e la chiusura Broken Mic, una sorta di ballad psichedelica ad alto tasso emotivo.

Più maturo del debutto, Nevermind The Tempo perde parzialmente quella grezza ferocia che ne faceva un importante punto di forza. Il progetto I Hate My Village, comunque, mostra un’innegabile crescita, non rimanendo ancorata a suoni già sentiti, ed è questa la notizia più importante.



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