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Precipice: i Dälek non invecchiano

Dei dischi nati durante la pandemia ormai si è perso il conto, per non parlare di quelli registrati nel post lockdown ed inevitabilmente influenzati dagli ultimi due anni. Diverso, invece, è il discorso di quegli album che sono stati cambiati in corsa d’opera a causa della pandemia: è il caso di Precipice, ultima fatica dei Dälek, in uscita il 29 aprile 2022 per Ipecac Recordings.

Il duo del New Jersey non ha bisogno di presentazioni e sono capolavori come From Filthy Tongue of Gods and Griots (2002) e Absence (2005) a testimoniare l’importanza che hanno avuto nel mondo dell’industrial/abstract hip hop. Il seguito di Endangered Philosophies (2017), ultimo disco a nome Dälek, era stato già ampiamente abbozzato a fine 2019, come spiega MC Dälek: aveva selezionato 17 pezzi su 46 e aspettava di mandarli a Mike Mare per terminare arrangiamenti e scrittura.

Ma quando il progetto è stato ripreso dopo la pandemia, i due si sono resi conto che quel materiale suonava ormai fuori tempo e hanno deciso di ricominciare dall’inizio. Da questa riscrittura sono nati i dieci brani di Precipice, un album che non scombussola il sound ormai collaudato da decenni del duo, ma che focalizza ulteriormente l’attenzione su atmosfere dense e nebulose, volte a ricreare l’oscurità di questi tempi.

Non è un caso che l’opener, la strumentale Lest We Forget, sia basata completamente su riverberi e dissonanze, evidenziando la componente dark ambient della musica dei Dälek. Con Boycott ha inizio il flusso di coscienza arrabbiato e inarrestabile di MC Dalek, uno spaccato sulla contemporaneità che prosegue senza sosta anche nei pezzi successivi, Decimation (Dis Nation) e Good, accomunati da basi noise, echi stranianti e trame industrial.

The Harbingers è uno dei momenti più intensi dell’album, piazzandosi a metà fra i soliti impulsi alienanti e intermezzi acustici, mentre A Heretic’s Inheritance vanta la presenza alla chitarra di Adam Jones dei Tool, che arricchisce la lunga prima parte strumentale.

Precipice non è il miglior album dei Dälek, ma allo stesso tempo è l’ennesima prova che non riuscirebbero a fare un album brutto neanche se si impegnassero. Nel disco manca l’innovazione dei primi lavori che sarebbe impossibile ricreare, ma il loro sound continua a non scendere a compromessi e soprattutto ad essere fra i più riconoscibili in circolazione.

Passano i decenni e i Dälek non invecchiano mai.




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