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Il nuovo album di Yann Tiersen, All, è l’ultimo atto di una trilogia dell’abbandono nell’abbraccio della natura

Il linguaggio è importante, e le parole possono avere due significati. A volte questi significati possono essere opposti, e altre volte invece complementari. Prendete ad esempio il titolo del nuovo album di Yann Tiersen, ALL, che come molti sanno significa “tutto” in inglese. Ebbene, in bretone, la lingua natia del compositore di Brest, “all” significa anche “altro”.

Una dichiarazione d’intenti in lettere capitali che va interpretata alla luce delle recenti svolte stilistiche dell’artista; partito dalle colonne sonore, una dimensione che Tiersen non è mai riuscito realmente a scrollarsi di dosso, ha navigato i tumultuosi mari urbani della vita parigina, abbandonandosi al romanticismo e alla trascinante frenesia della città dei lumi.

Da Infinity in poi, Tiersen è andato alla ricerca di lidi più calmi, spostandosi (fisicamente e musicalmente) verso i luoghi incontaminati dell’infanzia, quella Île d’Ouessant che fino a pochi anni prima fungeva da catalizzatore artistico e che diventa col tempo rifugio dal clamore della vita moderna.

L’abbandono nell’abbraccio di Madre Natura si sublima in quella piccola gemma che è EUSA, un very long play intriso di rugiada e introspezione, tanto osannato dagli amanti della frangia minimalista del neoclassicismo moderno.

All non è altro che il coronamento di una ideale trilogia del rimpatrio, con l’artista definitivamente a suo agio in un contesto armonioso e quasi onirico, fatto di campionature lavorate che si innestano sul tronco esile ma elegante delle linee melodiche.

Il punto è che, come si accennava poco sopra, Tiersen ha sempre attinto a piene mani dal linguaggio cinematografico della colonna sonora che l’ha consacrato al grande pubblico. Nel tentativo di tradurre in note la grandeur dei paesaggi da cui trae ispirazione, l’artista bretone infarcisce i suoi pezzi naturalistici di crescendo orchestrali e parti cantate in varie lingue che spezzano più o meno bruscamente la solennità e la sacralità della contemplazione.

È quasi come se Tiersen, ansioso di descrivere al pubblico le sue mirabolanti scoperte in termini di rapporto fra uomo e terra, calcasse un po’ troppo la mano, perdendo inevitabilmente un po’ di suggestione e potenza comunicativa.

Siamo comunque di fronte ad un album pregevole e molto curato, caratterizzato da picchi di raffinatezza compositiva e passaggi fortemente evocativi. La nota dolente non risiede tanto nel risultato finale, quanto nelle aspettative di partenza; Infinity ed EUSA avevano fissato l’asticella molto, molto in alto, e in questa prospettiva forse All non sembra essere all’altezza. Ma le aspettative, si sa, giocano brutti scherzi. Messe da parte quelle, All è comunque in grado di regalare un’ora di ascolto estremamente piacevole.




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