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TOdays Festival 2021: il ritorno ad una vita dimenticata.

Se nel corso degli ultimi anni abbiamo avuto modo di apprezzare la crescita del TOdays Festival, ormai ampiamente confermato fra le migliori realtà d’Italia, l’edizione 2021 ha, per ovvie ragioni, un sapore differente. Le motivazioni sono, purtroppo, ben note a tutti ed il caos in cui vive il settore degli spettacoli da circa un anno e mezzo è un crimine che non verrà mai cancellato.

Il TOdays è da sempre in prima linea non solo per la proposta musicale, che mantiene costantemente alta l’asticella della qualità, ma anche per la concezione ideologica che sta dietro al concetto di festival, un termine con il quale in Italia non abbiamo abbastanza confidenza rispetto al resto d’Europa.

Ed è importante, quindi, che un contesto simile sia fra i principali artefici della ripartenza di concerti, spettacoli, eventi dal vivo. Il TOdays ha sfidato i vincoli legati alla fruizione dei concerti, che si sono svolti con posti seduti e nel rispetto delle normative anti-Covid, ma soprattutto ha brillantemente superato lo scoglio di una serie di defezioni dell’ultimo minuto: prima Arlo Parks, poi i Working Men’s Club ed infine i Black Country, New Road sono stati costretti a cancellare i loro eventi a pochissimi giorni dall’inizio del festival.

Nonostante ciò, “sostituti” d’alto livello (rispettivamente Erlend Oye & la Comitiva, Asgeir e Shout Out Louds) hanno garantito lo svolgimento della rassegna, iniziata ufficialmente giovedì 26 agosto 2021, nel consueto Spazio211.

Giovedì 26 agosto 2021: Asgeir, Dry Cleaning, Andrea Laszlo de Simone & Immensità Orchestra

Si percepisce immediatamente una certa euforia, l’atmosfera si fa elettrica, per buona parte del pubblico si tratta del primo concerto dopo l’inizio della pandemia. Ad Asgeir spetta il pesante compito di aprire i quattro giorni di festival, ma l’artista islandese è abituato ad un certo tipo di pressioni e con il suo stile a metà fra art pop ed un’intimità tutta indie folk coinvolge il pubblico, scaldando l’atmosfera pur senza acrobazie sonore. Attraverso un sound educato e pulito dà nuova linfa ai brani in studio e si vede che la dimensione live gli fa bene, variando maggiormente la sua proposta e lasciandosi andare anche a code strumentali di raffinata eleganza.

L’eterogeneità della scaletta del festival si palesa immediatamente, saltando dalle sognanti trame di Asgeir ai Dry Cleaning, formazione post-punk di Londra, reduce dal debutto New Long Leg. Lo stile del gruppo è lontano dall’aggressività e dall’energia di altri nomi della nuova scena punk inglese, preferendo concentrarsi su sonorità che strizzano l’occhio all’art punk, perfette per accompagnare la voce della cantante Florence Shaw, leader ed autrice di testi pungenti e taglienti. Pantalone verde largo, maglia bianca, lunghi capelli rossi, compiaciuta ed addirittura leggermente imbarazzata durante i numerosi applausi scroscianti del pubblico: è lei il fulcro sul quale si regge l’intero gruppo. Ma guai a pensare che non ci sia altra sostanza, perché i ritmi angolari e la chitarra urticante di Tom Dowse non si limitano ad accompagnare la Shaw, ma si ergono volentieri a protagonisti, come dimostrano le lunghe jam proposte spesso a fine brano. Strong Feelings, John Wick e la conclusiva Scratchcard Lanyard fanno sobbalzare il pubblico dalle sedie e la standing ovation finale è più che meritata.

Il terzo ed ultimo artista in scaletta è Andrea Laszlo de Simone, accompagnato dall’Immensità Orchestra. Il musicista torinese aveva annunciato nei giorni precedenti che questo concerto sarebbe stato uno degli ultimi prima di una lunga pausa e sin da quando sale sul palco si percepisce l’emozione con la quale vive l’intera durata dello spettacolo. Cerca e chiede il contatto con il pubblico, partecipe sin dalle prime battute e completamente rapito dalle sonorità eteree e malinconiche della suite Immensità. Gli archi tracciano sentieri ariosi e d’impatto, l’intensità che si respira è costante, al netto di qualche piccolo ed improvviso problema tecnico. C’è spazio anche per brani dall’album Uomo Donna, con arrangiamenti inediti che danno una nuova veste a pezzi già splendidi, come Sogno l’amore e Fiore Mio. Chiude Vieni a salvarmi, picco emotivo di un concerto in cui il pubblico percepisce tutta la sensibilità di Andrea Laszlo de Simone.

Venerdì 27 agosto 2021: I Hate My Village, Black Midi, Teho Teardo

Il secondo giorno è probabilmente il più frenetico ed imprevedibile dell’intero festival, complice le esibizioni della serata. Aprono gli I Hate My Village, gruppo formato da tutte eccellenze italiane (Alberto Ferrari, Adriano Viterbini, Fabio Rondanini, Marco Fasolo) ma dalle sonorità estremamente internazionali. Il risultato è un forsennato rock psichedelico dalle forti tinte afrobeat e afro-funk, in cui sono azzerati i momenti di respiro. Sul palco Alberto Ferrari è una scheggia impazzita, scherza con il pubblico, lo invita a muoversi, è il mattatore del concerto e si prende più volte la scena. Il suo carisma, però, non mette mai in secondo piano gli altri musicisti, uno su tutti la macchina da guerra Rondanini, ed i quattro hanno un’alchimia invidiabile, evidenziata tanto nei brani dell’album omonimo quanto nelle sfuriate dell’ultimo EP Gibbone.

Se sonorità space, lunghe jam e frenetici ritmi afro devastano lo Spazio211, prendendosi il plauso del pubblico, ci pensano i black midi ad alzare ulteriormente il rumore. Il giovanissimo trio di Londra è fra le realtà musicali più importanti in circolazione e nonostante l’età hanno sfornato due album diversi ma ugualmente convincenti: infatti, prima Schlagenheim (2019), un concentrato di math /experimental rock, e poi l’ultimo Cavalcade, un delirio avant-prog in grado di oltrepassare la definizione di “genere musicale”, hanno dimostrato una maturità ed una sicurezza fuori dal comune. Il trio non ha paura di alzare il volume, a tratti spaventoso, e si sente sin dalle prime battute, affidate a due pezzi tratti dal primo album, 953 e Near DT, MI, palesando immediatamente l’anima più noise del gruppo e lasciando di stucco gli spettatori. Geordie Greep, chitarra e voce, indossa giacca e cravatta, ma con una tuta Adidas a coprirli, e padroneggia il palco con sicurezza ed un velo di freddezza, sciolto prontamente dalla sua chitarra, infiammata e stridente, ma anche capace di raffinarsi e diventare addirittura blues in più passaggi. Morgan Simpson, fra i migliori batteristi d’Europa, è instancabile e preciso e dà tutto sé stesso durante l’intera esibizione, dando sfumature inedite al suo strumento, soprattutto nei brani recenti, come John L e la conclusiva Slow.

Dopo due esibizioni così cariche, arriva l’atto conclusivo della seconda serata, momento atteso e completamente differente dai gruppi precedenti. Teho Teardo, in esclusiva per il TOdays, sonorizza La Jetee (1962), corto d’autore di Chris Marker, regista francese d’avanguardia e pioniere del cinema dello scorso secolo. Il cortometraggio, che ha ispirato L’esercito delle dodici scimmie (1995) di Terry Gilliam, tratta temi tristemente attuali, quali la morte, la pandemia, il distanziamento, un mondo in rovina e in caduta libera. Dunque Teardo, accompagnato da un duo d’archi, omaggia il film senza snaturarlo, facendo presente che protagonista dell’esibizione è innanzitutto La Jetee. Il musicista friulano accompagna la narrazione dando intensità alle immagini del film, accentuando o giocando di sottrazione in base al momento. Ed è proprio sull’attimo che gioca l’intera sonorizzazione, sulla capacità di raccontare all’interno del racconto stesso, ma senza mai eccedere o sovrastare il tessuto narrativo del film. Il risultato finale è un degno attestato di stima ad un capolavoro del cinema ancora troppo poco conosciuto.

Sabato 28 agosto 2021: Tutti Fenomeni, Shout Out Louds, Iosonouncane, The Comet Is Coming

Il terzo giorno di festival si apre a metà pomeriggio nel Parco Peccei, poco lontano dallo Spazio 211, per il concerto di Tutti Fenomeni. Il musicista romano, vestito con una lunga tunica viola, presenta il suo disco d’esordio, Merce Funebre. Cavalcando l’onda dell’electropop/synthpop in voga negli ultimi tempi, ed arricchendo i suoi brani con inserti R&B e dance, Tutti Fenomeni entra sin dai primi pezzi nel cuore del pubblico, che si diverte durante l’intera durata dello spettacolo. In un pomeriggio caldo ed afoso, Tutti Fenomeni dà ai suoi spettatori una sana dose di movimento e simpatia, conquistando il cuore dei presenti.

Il ritorno allo Spazio211 è aperto dagli Shout Out Louds, band svedese dalle evidenti connotazioni indie rock. Distanziandosi dagli ultimi lavori, molto più pop ed orientati verso sonorità dream/jangle, il loro concerto è decisamente più duro ed energico, attenendosi maggiormente al sound dei primi album. Alternando ballad cariche di passione a brani più spinti e carichi, il gruppo si dimostra un’irrefrenabile macchina da hit, mantenendo costante l’attenzione del pubblico, sempre più rapito con il passare dei minuti. Sul palco si divertono e si incastrano alla perfezione fra loro, evidenziando un’alchimia invidiabile: il finale è un crescendo di brani vividi e vigorosi.

Con l’arrivo di Iosonouncane il passaggio da un genere all’altro è netto ed evidente. Dalle schitarrate degli svedesi si approda in un mondo oscuro e criptico, che il musicista sardo ha sapientemente creato nel suo ultimo album, IRA. Se già nel precedente Die (2015) erano evidenti sintomi di una maturità raggiunta, ma era ancora legato ad una sorta di cantautorato psichedelico, adesso è il post-industrial a dettare legge. Partendo dalle esperienze dei Throbbing Gristle e degli Einsturzende Neubauten fino ad approdare ai Coil, Iosonouncane fa tesoro di tutte queste esperienze e porta sul palco un live eterogeneo e multiforme. Prison, Ojos, Tanca, la conclusiva Hajar: sono tutti brani che cambiano pelle di volta in volta, trascinando gli spettatori prima nel dark/ritual ambient, poi nell’industrial in salsa darkwave ed infine in un dialogo a due fra psichedelia ed elettronica da rave. In un’ora di musica, Jacopo Incani, vero nome del musicista, crea uno spazio dimensionale in cui proietta tutto il suo background e trascinando con sé chiunque sia disposto a seguirlo.

Ma dopo uno spettacolo simile non c’è tempo per rifiatare, perché arrivano i The Comet Is Coming. Con buona pace dei nemici degli spoiler, va detto sin da subito che probabilmente l’esibizione del trio londinese è stata la migliore dell’intero festival. Shabaka Hutchings è senza dubbio il miglior sassofonista dei nostri tempi ed ogni progetto in cui prende parte è rifinito dalla sapienza e dalla genialità del suo sax, come dimostrano i Sons of Kemet e i suoi lavori con gli Ancestors. Nei The Comet Is Coming la strada percorsa è quella del fusion/nu jazz, ma dal vivo Hutchings percorre tutto il suo repertorio, lasciandosi andare a lunghi assoli in chiave spiritual ed accentuando la componente afro della sua musica. Danalogue, synth, tastiere e frontman del gruppo, e Betamax, alla batteria, sono due artisti eccellenti e si percepisce l’affinità fra i tre, in grado di scambiarsi e seguirsi fra loro. Nemmeno un problema tecnico (ad un certo punto va via l’audio per un minuto abbondante) ferma quello che è un live fervente, caldo, a tratti devastante nella sua forza travolgente: non c’è tempo per rifiatare né per staccare, perché quando i toni sembrano abbassarsi spunta di nuovo fuori il sax maestoso di King Shabaka. Al termine del concerto si percepisce la sensazione di aver assistito ad un capolavoro e di aver tastato l’essenza stessa della musica, attraverso una performance in cui i tre sul palco hanno dato tutto.

Domenica 30 agosto 2021: Les Amazones d’Afrique, Erlend Oye & la Comitiva, Motta, Shame

La quarta ed ultima giornata della manifestazione inizia con un altro concerto al Parco Peccei. Ad esibirsi, intorno alle 17, sono Les Amazones d’Afrique, collettivo femminile proveniente dall’Africa Occidentale. Le importanti tematiche trattate dal gruppo sono principalmente legate al femminismo, alla condizione delle donne in Africa e all’emancipazione femminile nel mondo. Il risultato è un concerto prima di tutto dal forte impatto sociologico, ma la forza delle amazzoni non sta solo nelle parole. Infatti, musicalmente propongono un live a dir poco festoso e gioioso, allargando i confini e toccando la musica in Mande (lingua parlata in Africa Occidentale), chitarre funky e una sezione ritmica che a tratti si placa in echi downtempo per poi esplodere di nuovo nell’ebbrezza del party orchestrato dal gruppo. Al termine del concerto tutti ballano e si divertono, e Les Amazones d’Afrique regalano uno splendido pomeriggio al pubblico.

Terminata l’euforia, allo Spazio 211 si cambia completamente umore ed è il mondo acustico ed immaginifico di Erlend Oye (Kings of Convenience) e La Comitiva, trio di Siracusa (dove vive da anni Oye). Due ukulele e due chitarre acustiche: tanto basta nella prima parte del concerto per ricreare un’atmosfera perfetta per l’orario, intorno all’imbrunire. Gli strumenti si intersecano alla perfezione, creando dei legami certosini, che il più delle volte sfociano in arrangiamenti di pregevole fattura, delicati ed immacolati, splendenti in una purezza d’altri tempi, come dimostrano i brani La Prima Estate o Bologna. C’è spazio anche per qualche classico del repertorio solista del musicista norvegese, come Garota e Prego Amore.

Arriva il turno di Motta, che da tempo ha lasciato da parte il live esplosivo e frenetico del debutto La fine dei vent’anni (2016) per concentrarsi su suoni più educati da cantautorato, complice i due album Vivere o morire (2018) e l’ultimo Semplice, entrambi meno dirompenti rispetto al primo disco. Adesso in formazione c’è spazio anche per gli archi e per suoni più delicati, necessari per brani come A te, Semplice o La nostra ultima canzone. Ne consegue che anche i pezzi del primo album sono arrangiati in modo differente, ma non per questo perdono la loro carica, come testimonia Del tempo che passa la felicità. Va detto che il musicista toscano non ha mai lasciato da parte la grinta nel corso degli anni: lo evidenzia non solo la sua foga sul palco, fra salti, abbracci ed un continuo dimenarsi, ma anche quando negli gli ultimi brani suona le percussioni, marchio di fabbrica dei primi live. L’atmosfera si fa elettrica con Se continuiamo a correre, ma è solo quando sul palco sale Andrea Appino (The Zen Circus) che il pubblico si infiamma ed il concerto esplode definitivamente durante Roma stasera, con una jam finale di diversi minuti.

Al termine di un festival di questo tipo, con artisti eterogenei e dall’alto tasso di spettacolarità, agli Shame va l’onore di chiudere il TOdays. Siamo ancora nella scena post-punk di Londra, ma i connotati stilistici sono diametralmente opposti rispetto ai Dry Cleaning ascoltati pochi giorni prima e basta una manciata di minuti per capire che quello sarebbe stato un live diverso da tutti gli altri. Il pubblico, ligio durante l’intera manifestazione, non riesce più a stare seduto e i cinque giovanissimi ragazzi inglesi mettono a ferro e fuoco lo Spazio211 con appena due pezzi, Alphabet e 6/1. L’attitudine degli Shame non lascia spazio a dubbi: siamo di fronte ad un vero concerto punk. Il bassista Josh Finerty è incontenibile, corre sul palco come un centometrista, cade più volte, si rialza e non sbaglia mai un giro di basso. Il cantante, Charlie Steen, gonfio di personalità british, fra battute (Hey Italian Fans, Euros Winners!), slang londinese ed una personalità possente, diventa il leader carismatico di centinaia di persone. Incita il pubblico, si becca ovazioni a non finire, declama i suoi versi con una sicurezza spaventosa. Intanto sul palco accade l’inferno e poco importa dei brani: che sia Nigel Hitter, Dust on Trial o One Rizla, in ognuno di essi c’è una forza micidiale sprigionata senza limiti, fra riff monolitici e distorti, una sezione ritmica capace di essere tanto dritta quanto incisiva e Steen che spesso continua il suo spettacolo sopra le transenne che lo separano dalla folla (per ovvie ragioni, niente stage diving). Quello degli Shame è stato il primo concerto fuori dai confini della Gran Bretagna dopo circa di due anni e si è percepita chiaramente la loro voglia di suonare e portare in giro per il mondo la loro musica, ancora più incisiva e convincente dal vivo che in studio. Chiudono il TOdays nel migliore dei modi, concedendo anche un bis (Angie), unico gruppo a farlo durante l’intera manifestazione.

Il festival torinese è stato un atto necessario e doveroso per poter ripartire, come rispecchia non solo l’organizzazione, guidata dal direttore artistico Gianluca Gozzi, ma anche le esibizioni di tutti gli artisti in scaletta, visibilmente emozionati e coinvolti da questo progetto così importante.

Il coraggio di una proposta simile, in quest’epoca ed in queste condizioni, non sarà mai lodato adeguatamente e la portata del suo messaggio deve arrivare ovunque per poter ripartire definitivamente.

Nella speranza che entro l’edizione del 2022 saranno completamente svaniti i vincoli che attanagliano il mondo dello spettacolo, non possiamo far altro che ringraziare il TOdays Festival per aver consegnato al suo pubblico una vita che sembrava ormai svanita, tristemente dimenticata ed abbandonata.

 

Foto Fonte: Instagram



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