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The Lost ABC: non porre limiti all’immaginazione

The Lost ABC nasce dalle menti di Gianluca Mancini (pianoforte e sintetizzatori) e Massimiliano Fraticelli (chitarre e noise). Al debutto per Memory Recordings (l’etichetta di Fabrizio Paterlini) con Somewhere, il duo propone una musica strumentale tra piani, archi e noise. Un viaggio onirico nel quale le linee di pianoforte, lineari ed avvolgenti, si fondono con piani sonori immaginifici composti ora da archi, ora da chitarre.

Come nasce il progetto The Lost ABC e qual è il significato del vostro nome?

Il progetto nasce dal desiderio di fare musica strumentale senza alcun tipo di condizionamento da stili e mode. C’era la voglia di comporre musica, in un dialogo immaginario con i registi che amiamo, ma con l’unico criterio di non porre limiti all’immaginario e così abbiamo costruito un’ipotetica colonna sonora di un film ambientato nel futuro, in un futuro disperato dove l’uomo non è più al centro, ed i suoi codici , le sue certezze vengono meno. Da ciò il nome The Lost ABC, ossia un momento storico in cui anche l’alfabeto, invenzione umana per eccellenza , viene perduto.

Somewhere è un percorso onirico a suon di piano, archi e noise. Qual è la meta finale del vostro viaggio?

Non abbiamo una meta precisa, anzi diremmo che il nostro è un viaggio di solo andata. Ci piace l’indistinto , il discontinuo , la continua ricerca. Ecco la nostra “missione” musicale è quella di continuare a   ricercare vie nuove di fare musica attraverso il viaggio. Ed in qualche modo non tornare mai al punto di partenza.

Il piano e gli archi presenti nel disco sono stati registrati trovando strumenti e musicisti con caratteristiche uniche nei teatri, nelle abitazioni, nei camerini durante i tour, ma mai in studio, proprio per evitarne la freddezza e l’anonimato del suono. Quanto è stato dispendioso e più lungo questo processo rispetto ad una normale registrazione in studio?

È un processo faticoso, perchè lavorare in studio è più facile, essendo un ambiente predisposto acusticamente e strumentalmente alla registrazione. Ma quella facilità a volte rende troppo ripetitivo il suono e le timbriche . Noi abbiamo scelto invece di registrare pianoforti e archi laddove li trovavamo , in ambienti e situazioni particolari, rispettando il calore degli ambienti, dei teatri, delle case nelle quali risiedevano questi strumenti. Per cui il processo ha dovuto rispettare i tempi e le occupazioni di questi luoghi, abbiamo dovuto aspettare che si svuotassero di gente , di famiglie schiamazzanti, di lavoratori, approfittando delle pause. E abbiamo portato il materiale per registrare.

Somewhere suona in maniera organica e uniforme, come se le nove tracce facessero parti di una unica jam. Come sono nati i brani e qual è il vostro metodo compositivo?

É un album composto unicamente da noi due, che abbiamo un percorso musicale piuttosto simile, nato negli anni ’90, nella scena Indie italiana, cresciuto con l’ascolto dei classici  dell’epoca d’oro del Rock, e poi spostatosi sul filone della musica per sincronizzazioni. L’omogeneità deriva proprio da questo percorso simile e dalla scelta di fare un disco di brani strumentali, tenendo come elementi ricorrenti il piano ed i Synth  da un lato e chitarre e noise all’altro.

I brani che mi hanno colpito di più sono stati April, morbido, con il piano a creare quella sensazione di movimento con gli archi a dare maestosità, un viaggio nello spazio ignoto, ed Electric Pig che ha come protagonista la chitarra in finger style e suoni ambientali.  Il viaggio si sposta dall’uomo alla natura per poi tornare in chiusura alla scoperta del proprio mondo interiore e intimo. Potrebbe essere questa una delle chiavi di lettura del vostro album?

Questo è senz’altro una delle chiavi di lettura : amiamo profondamente la Natura, la sua ampiezza , il suo respiro e nel dialogo con l’uomo, attraverso  i suoi migliori strumenti tecnologici come la possibilità di riprodurre i suoni, abbiamo fondato i cardini di questo progetto. Il field recording, che è la tecnica di registrazione degli ambienti, è stato uno dei principi elementi su cui costruire le melodie dei brani di questo album. E gli archi, specialmente nel brano da te citato April, sono un po’ come gli alberi mossi dal vento.

La musica diventa il dolce linguaggio della Natura. Qual è secondo voi il luogo più adatto per proporre la vostra musica?

Penso che i concerti all’aperto, nei luoghi più remoti e suggestivi  della natura , come le montagne e i laghi, possano essere le cornici ideali per la nostra musica. Notiamo che sempre più operatori e promoter musicali scelgono questi luoghi come sede dei Festival estivi, ne siamo lieti e non vediamo l’ora di poter partecipare.

Qual è oggi il ruolo della musica e dell’arte nella nostra società?

Crediamo che la musica mainstream, per via dello Streaming a basso costo e dell’uscita dal mercato dei supporti, sia oggi vittima di un processo che l’ha resa in qualche modo sterile. Se ascoltiamo le classifiche di oggi non possiamo non rimanere turbati da un appiattimento della ricerca timbrica e della sperimentazione anche solo melodica. Oggi è compito di chi fa Musica e delle Arti in generale, di combattere questo appiattimento fornendo nuove idee, cercando originalità e multidisciplinarietà  come volani per una nuova progettazione. Ma per fare questo serve il sostegno della Società e degli organi statali. In Italia ad oggi non si è purtroppo visto alcun incoraggiamento in tal senso.

Ci lasciate con un pensiero o una citazione che rispecchi il vostro modo di concepire la musica

Una frase che rispecchia molto il nostro modo di concepire la musica e di scriverla è questa di Miles Davis. “La vera musica è il silenzio. Tutte le note non fanno che incorniciare il silenzio”.

Leggi la recensione dell’album Somewhere QUI



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