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Dove finisce Life Metal, la inizia Pyroclasts

Pare che la vena creativa di Greg Anderson e Stephen O’Malley, le menti dietro ai Sunn O))), pionieri del drone metal al punto di non renderlo più un genere di nicchia, sia piuttosto ispirata nell’ultimo periodo, un fatto non sempre costante nella discografia del gruppo.

Mancavano, infatti, da ben quattro anni prima della pubblicazione di Life Metal ad aprile, ed hanno deciso di pubblicare a pochissimi mesi di distanza un nuovo album, Pyroclasts, in uscita il 25 ottobre 2019 per Southern Lord.

Un lavoro, per la verità, estremamente legato al suo predecessore: le quattro lunghe tracce sono state pensate e registrate durante le sessioni di Life Metal, quando i musicisti si riunivano quotidianamente per improvvisare poco più di dieci minuti di drone puro ed irriducibile, lasciando sfogo alla propria creatività per poi assemblare i pezzi. Fondamentali, sotto questo punto di vista, le collaborazioni con Tim Midyett, T.O.S. e Hildur Gudnadottir.

La connessione fra i due album non si limita solo alla genesi del secondo, perché anche musicalmente c’è un legame molto forte: registrati da Steve Albini, i quattro brani rispecchiano il bel clima creatosi e si collegano, pur essendo probabilmente ancora più ostici e sperimentali, ai pezzi di Life Metal.

Un album solare dunque? Ovviamente no, echi, riverberi e distorsioni sono ancora una volta protagonisti indiscussi, sin dalla prima traccia, Frost (C), decisamente “classica” nel repertorio del gruppo. Più evidenti invece i solchi ed i segni lasciati dalla schizofrenia della seguente Kingdoms (G), un climax discendente che dopo l’esplosione conduce ad un appiattimento sonoro, così com’è chiara la profondità espressa dalle dissonanze di Ascension (A).

Come il predecessore, anche Pyroclasts non sembra essere un lavoro fondamentale nella discografia dei Sunn O))), molto più interessante invece il filo conduttore che li lega; è come se i pezzi di questo secondo capitolo riuscissero a rendere ancora più essenziali i brani del primo, che si mostravano a tratti più accessibili. Per quanto possa essere impegnativo, vale la pena ascoltarli uno dopo l’altro: i due si completano, proprio come fanno Anderson e O’Malley.




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