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Il suono, fuori da ogni tempo, degli Snow Ghosts

Con circa 10 anni di carriera alle spalle e un numero ormai considerevole di interessanti produzioni, il trio inglese degli Snow Ghosts arriva al terzo full lenght, A Quiet Ritual, pubblicato il 3 maggio da Houndstooth, alla ricerca della definitiva consacrazione.

Ed in effetti, al primo ascolto ci si accorge subito di essere di fronte ad una prova di maturità, nonché ad una perfetta rappresentazione dell’essenza sonora e concettuale della band.

Il disco, frutto di un lavoro lungo 2 anni, esplora i temi dell’amore, della morte, dell’eternità, del ricordo e dell’oblio, in una sorta di rituale pagano, pregno di riferimenti alla natura, alla mitologia e alla spiritualità, come il titolo stesso suggerisce. In particolare, temi centrali sono la morte e l’elaborazione del lutto, con la band che, con l’intento di catapultare l’ascoltatore in un luogo eterno, in cui il tempo si muove rarefatto esulando dalle percezioni umane, ha deciso di registrare l’intero album in un castello nel Wiltshire e di utilizzare, unitamente alla propria colonna portante elettronica, un ensemble di strumenti classici e moderni, tra cui spiccano il violino e soprattutto il carnyx, un corno di cinghiale celtico risalente all’Età del Ferro e rinvenuto negli scavi effettuati in una palude a Deskford, in Scozia, che pare fosse utilizzato anticamente per incitare i guerrieri in occasione di battaglie, o durante misteriosi rituali.

Il risultato è un sound estremamente ricco e cupo, che fonde l’anima folk della cantante Hannah Cartwright con l’elettronica dark del compositore Ross Tones e l’estro del polistrumentista Oliver Knowles che, insieme alle numerose incursioni orchestrali e ad una produzione costantemente alla ricerca di un’estrema spazialità e di atmosfere eteree, lasciano addosso l’impressione di avere a che fare con un disco arrivato fino a noi da un’epoca indecifrabile, in un futuro lontano o in un passato di cui non abbiamo contezza.

L’opener Keening è un richiamo ancestrale in cui il carnyx, il violino e i cori suonano come il preludio di una battaglia, che sembra concretizzarsi con la violenta e drammatica Rip, brano in cui la componente noise/industrial si fa più forte, anche supportata da un drumming incalzante e da una ricca sezione orchestrale, ed il riferimento alla morte sfacciato. Ben presto il cuore si fa pesante, gli occhi lucidi, affiorano spiriti e presenze inquiete e prende forma l’esigenza di esulare dal ciclo della vita terrena. Horizon, Ribcage e Wrait sono momenti di notevole qualità compositiva, in particolare quest’ultima, in cui la tensione creata dai pad sintetici esplode in dinamiche sinfoniche tra fucilate di drum machine, crescendo orchestrali e ricami arabeggianti. Chiude il disco la dolce Silence, intrisa di ricordi malinconici, di amore eterno e di presenza costante nel ricordo.

Un concept album, quello degli Snow Ghosts, punto d’arrivo e sintesi perfetta, nella composizione, nei suoni e nelle tematiche, di quelli che sono probabilmente da sempre gli intenti della band inglese, che mescola elettronica dark ad echi folk alla ricerca di un suono senza tempo, che fotografi la sacralità della vita ed il suo ciclo di perenne trasformazione, di cui la morte non è altro che un, seppur doloroso, passaggio.




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