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Uno sguardo al futuro

Il 2020 è un anno che passerà alla storia per la pandemia mondiale che ha colpito l’intero globo. Sono giorni questi in cui il mondo intero prova a ripartire, cercando di ritornare ad una tanto desiderata normalità. Una delle tante domande ricorrenti è cosa ci riserverà il futuro? Lo stesso interrogativo che si è  posto Robert Koch, meglio noto come Robot Koch, nel suo nuovo album, The Next Billion Years.

L’ultima fatica del nostro, pubblicata il 29 maggio da Modern Recordings, è frutto di un ritrovamento casuale, ossia una cassetta contenente una registrazione di una lezione del 1973 di Cousteauf in cui contemplava il futuro della nostra specie e del nostro pianeta.

Nell’album il compositore tedesco prova a chiedersi come potrebbe essere il futuro e lo fa avvalendosi della collaborazione con il famoso direttore estone Kristjan Järvi e della sua orchestra. Le dodici tracce sono la somma di un sound imponente, farcito di filosofia ed esistenzialismo, dodici componimenti che spaziano tra elettronica, ambient, neoclassica e musica classica.

Liquid, che ha anticipato l’uscita dell’Lp, è una combinazione magica e avvolgente di archi, piano e percussioni. Quattro minuti sono più che sufficienti per racchiudere l’estetica dell’intero disco: l’eleganza degli archi, la raffinatezza del piano, le percussioni dal sapore trip hop, il tutto senza esagerare con il minutaggio. Una chiave moderna e fresca di intendere la musica per orchestra. Un sovrapporsi di sintetizzatori e una ritmica pulsante e profonda sono gli elementi cardini di All Forms Are Unstable, trascinata dalla sinuosità degli archi. Con Dragonfly emerge il lato più elettronico di Koch: suggestioni ultraterrene rette dal fascino degli archi e da una ritmica che fa capo alla kalimba. Sul finale la traccia fa convivere la maestosità dell’orchestra con una cassa 4/4 tutta da ballare. Nella successiva Hawk è facile accostare Koch con nomi quali Bonobo o i Submotion Orchestra, quella raffinatezza nel mettere insieme l’elettronica con incursioni jazz. I fiati e i campioni vocali le conferiscono un alone di mistero con una sezione ritmica cupa e altisonante. La tensione elettrica di Post String Theory svanisce subito, basta poco alla nona traccia per diventare una strumentale orchestrale ariosa e briosa.

The Next Billion Years è un album che lascia senza fiato, un ibrido tra elettronica e orchestra che lascia da parte i suoni cupi, sci-fi e cinematografici del suo predecessore Sphere Out Takes, per esplorare un universo sonoro, fatto di luce e speranza. Probabilmente il miglior album che Robot Koch abbia realizzato finora.

Leggi l’intervista a Robot Koch QUI




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