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Borrowed From Children è musica non pianificata

S’intitola Borrowed From Children il nuovo album del leggendario sassofonista jazz statunitense Paul Flaherty, creato in collaborazione con gli artisti Randall Colbourne, James Chumley Hunt e Mike Roberson. Il disco è uscito il 22 maggio scorso per 577 Records, a detta dello stesso artista, si tratta di un genere di musica duramente attaccato in passato, perché improvvisato e liberamente guidato dalla talentuosa attitudine del seguire, ascoltare e concentrarsi totalmente sulla dinamica compositiva, attorno alla peculiare sensazione intuitiva quasi mistica.

Una musica non pianificata quindi, che si snoda in una sostanziale durata di tempo, di fatto imprevedibile, dove i musicisti possono entrare insieme a far sì che l’esecuzione susciti un interesse crescente del pubblico, amplificando le già accattivanti sfumature esecutive.

Suonando il sax fin da ragazzo nelle bande scolastiche, Flaherty arriva a capire che la musica nasce da una spinta del cuore (passione) e non da un’espressione della mente (allenamento formale) grazie alla scoperta del jazz attraverso la radio, iniziando così le prime improvvisazioni sui dischi di genere.

A seguito di alcune collaborazioni con vari leader di gruppi musicali l’artista realizza la difficoltà nel diffondere la sua naturale inclinazione per la libera improvvisazione; l’incontro con il batterista Randall Colbourne nel 1988 segnerà l’inizio di un’amicizia ed una collaborazione artistica durature, in duo e attraverso collaborazioni di musicisti come James Chumley, inizia quella libertà dai vincoli a lungo cercata, distaccandosi dalle forme armoniche e melodiche compositive tradizionali.

Cinque movimenti che ruotano attorno ad una frase dei nativi americani, un riferimento non all’eredità della terra dai nostri antenati bensì al prestito di essa dai nostri figli, perché questo momento di crisi globale possa essere spunto di meditazione e consapevolezza; corposo il minutaggio per Crude Gray Sky, il lirismo generoso di note quasi pudiche, di tocco malinconico e nostalgico di fondo dove l’evoluzione energica simula il contrappeso.

Le domande strumentali sono vitali in Dark Leaves Linger e si sciolgono in quello scherzo quasi classico di Brazen Eyes, il sapore di un omaggio non dichiarato è gradito (assai); dal recitativo strumentale di An Old Man Gone al bellissimo assolo sax in Cigar Store Bathtub, il tripudio finale corale è toccante, imperdibile per di più.




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