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Da una poesia del 1820 nasce l’idea per Refuge, debutto maturo del romantico compositore francese Sylvain Texier alla guida del progetto Ô Lake

La musica serve molti scopi, sia per chi l’ascolta sia per chi la fa. Spesso e volentieri, l’arte diventa il rifugio dell’artista, il luogo ideale in cui confezionare pensieri ed emozioni in una forma adatta alla comunicazione e alla condivisione. Si spiega forse così il titolo dell’ultimo lavoro di Sylvain Texier, nell’ambito del suo nuovo progetto Ô Lake.

Refuge è in effetti un debutto, ma da come è confezionato non si direbbe: l’artista è maturo e il suo lavoro, per il quale si avvale di ottimi collaboratori, pregevole. Non siamo di fronte a nulla di rivoluzionario, ma il suono è curato e ben fatto, il comparto emotivo è abbastanza complesso da stimolare la riflessione ed è al contempo molto rilassante.

L’ispirazione viene da una delle poesie più famose di Alphonse de Lamartine, intitolata Le Lac, che risale al 1820 e che nasconde in sé una storia tragica. Nel 1817, il poeta e una donna che rispondeva al nome di Julie Charles si erano dati appuntamento al Lac du Bourget, teatro di numerosi altri incontri precedenti, ma in quella fatidica notte la musa di Lamartine non si presentò.

Il poeta venne quindi a sapere che la donna era morta di tubercolosi, e Lamartine decise di affidare ai versi tutto il suo dolore, la malinconia nascosta nello scorrere del tempo e il desiderio di preservare nella memoria il ricordo delle notti stellate in cui i due erano stati felici.

Verrebbe da pensare che Refuge sia l’equivalente musicale degli struggenti versi di Lamartine, ma non è tutto così semplice. Così come Le Lac nasconde in sé una scintilla di speranza, la volontà di non cedere alla tristezza e di preservare ciò che di bello il tempo lascia dietro, così Refuge sa essere, quando vuole, luminoso.

La struttura del disco è molto narrativa, al punto che la title track, disposta strategicamente in capo a tutte le altre, suona come un preludio a qualcosa di più grande, un espediente narrativo.

Tra la candida innocenza di Reveries Op. 1, che sembra quasi una ninna nanna, il conservato dinamismo di Holocene, l’incantata serenità di Morning o il colpo di reni di Epilogue, l’album scorre senza intoppi, a tratti come un delicato ruscello, e altre volte come un fiume vero e proprio.

Refuge non è un lavoro spartiacque rispetto al classicismo moderno, non aggiunge e non toglie nulla al genere, ma resta comunque una bella esperienza. I titoli dei brani, le linee melodiche semplici di piano e violino, i retroscena culturali, tutto in questo album lascia trasparire una visione dell’arte e della vita intrisa di un romanticismo innocente, puro, d’altri tempi.




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