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Il misticismo onirico dei Mansur nel nuovo album Temple

Mansur è il progetto recentemente avviato dal polistrumentista Jason Kohnen (ex The Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, ex-Mount Fuji Doomjazz Corporation) affiancato dal russo Dimitry El-Demerdashi (ex Phurpa). Non certo due sprovveduti, ecco, ma che invece hanno fondato band di spicco nel campo della sperimentazione e dell’innovazione.

Temple segna il debutto per la formazione olandese ed è stato rilasciato il 10 luglio 2020 per l’etichetta indipendente Denovali Records.

Il disco si compone di sole cinque tracce, aprifila della tracklist è l’omonima Temple, un viaggio altamente ispirato tra rivoli di arabesque incipiente e la magistrale interpretazione vocale di Martina Horvàth.

É difficoltoso incasellare la composizione dei Mansur in un genere unico, il suono – senza dubbi – naviga tra onirico e realtà musicale. La molteplice strumentazione tradizionale utilizzata si trasforma e si fonde sapientemente con l’elettronica moderna. 

Gli strumenti  sono davvero i più disparati e tutti individuabili: kalimba, violino, violoncello, ney, erhu, zhonghu, jinhu, kemenche, dilruba, bansuri, rammerdam, contrabbasso e vari strumenti a percussione come cajon, nacchere, krotal e vari shaker e tamburi organici. Della serie, chi più ne ha più ne metta!

Disciples appare decisamente un pezzo più denso. Il synth si lascia avvolgere con eleganza da un violino in solo, i beat elettronici scandiscono un tempo senza regole, il suono è un viaggio unico, cinematografico, dinamico.

Temples Revisited I è invece una narrazione dai tratti cupi con rombi e frangimenti da contorno, una sorta di spartiacque riflessivo prima dell’approdo alla più decisa track – e di meravigliosa espressività – tra rovine pentatoniche.

Concludendo Temple è un disco-viaggio di evasione che non si lascia impermeare da status o mood definiti. Si spazia dall’inquietudine al romanticismo (Leyenda è una sorta di ballad dai lineamenti fiabeschi) ed è un’occasione unica per lasciarsi ispirare e coinvolgere in una peregrinazione senza davvero nessun confine.




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