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L’emozione liquida di Hauschka in una foresta…

Riecco dopo due anni il grandissimo pianista tedesco Hauschka, pseudonimo di Volker Bertelmann, classe 1966 e famoso in lungo ed in largo per le sue poetiche composizioni per piano temperato. 

Quindici album nella sua carriera, 6 colonne sonore, il tutto inserito in un vortice passionale e artistico di capacità e tecnica, impeccabile ed ineccepibile, ormai maturo. Le armoniche tredici tracce scorrono come sabbia in una clessidra: solenni e con precisione, nulla è lasciato al caso, e se, come nel mio caso, si riesce a guardare fuori dalla finestra, si scorgerà un paesaggio invernale, tra alberi spogli e cieli grigi, percependo l’essenza della foresta differente che l’autore tenta di costruire tra crome e trilli. Un album che in giusti minuti, dall’uno ai tre e mezzo, riesce ad essere una sorta di confort food dell’anima, con pelle d’oca ed appagamento dei sensi annessi.

L’incipit è affidato ad Hike con un arpeggio ripetuto che fa da tema, mentre si rincorrono rapidissimi acuti e lentissimi gravi, sfumando in un finale da disillusione tranchant.

Un pezzo monumentale viene rappresentato dal cuore Urban Forest che tocca corde inesplorate, con maestria e pause ben scandite, il tutto come una colonna sonora mentre il cielo grigio fa capolino per approdare verso il buio pesto.

C’è tanto della musica classica più ancient con i riferimenti di studio che portano la mente a Chopin, mentre in Skating Through the Woods c’è tanto di approccio alla contemporaneità, con rilievi strutturali composti da echi e smussature strumentali appartenenti ad un sound più deciso – qui si inserisce una leggera linea di violino, leggermente disturbata da un diapason.

In Daybreak over Covent Garden sono anche presenti degli ovattati riferimenti al mondo reale, mentre voracemente si rincorrono le mani sui tasti, scambiandosi di posto, schiaffeggiando in una carezza la tastiera.

La foresta non è nient’altro che il topos dell’autore, che ora parlando al padre, ora vivendo la città o riposando il corpo, vive la vita, tra entusiasmi rosei e risvolti cinici, fino a ritrovarsi, in un ciclo che ritrova l’autogenerazione come l’ouroboros, in un’Another Hike.

Quasi tutto il disco è eseguito in tonalità minore, con dovute eccezioni di modulazione temporanea, sintomo di una caratterizzazione più melanconica, volta a provocare nostalgie e tristezza per l’approdo ad una sorta di purificazione finale.




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