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F o l l o w t h e r i v e r: un mondo da esplorare

Indie folk incastonato tra ricerca sonora e riflessioni eteree, questo è F o l l o w t h e r i v e r,  progetto di Filippo Ghiglione. Il musicista nato a Genova ha pubblicato il 12 aprile 2019 un nuovo Ep di cinque canzoni, blankets & bumblebees, anticipato dai singoli nocturnal // interlude e City Of Silences.

Nell’album si percepiscono capacità e conoscenze musicali, come comincia a suonare e a cantare Filippo?

Ho iniziato a suonare e prendere lezioni di chitarra elettrica a 15 anni più o meno, dopo aver ascoltato per la prima volta i Led Zeppelin, su consiglio di un mio amico e musicista. Da lì in poi ho iniziato a suonare nelle prime band al liceo, e quando nelle stesse band ho iniziato a essere indicato come un possibile cantante solista ho sentito l’esigenza di iniziare a concentrarmi anche sul canto.

Il binomio chitarra e voce aderisce perfettamente alla dimensione intima e poetica dell’album, parlare del cuore è anche un’esigenza?

Per me è prima di tutto un’esigenza. Con il tempo, soprattutto negli ultimi anni, ho capito quanto sia fondamentale per me la musica per creare ponti empatici con il cuore delle altre persone. Ne ho bisogno per creare un contatto diretto fra le persone e il me stesso più intimo e nascosto, un contatto che per me nel quotidiano non esiste, e che senza musica non esisterebbe. Ho questa esigenza e questa dipendenza dalla musica, in un certo senso. Per essere del tutto onesto con me stesso e con gli altri.

La fluidità della lingua inglese ti ha favorito una maggiore libertà musicale?

Ti ringrazio molto per il bel complimento! Diciamo che ho sempre scritto ispirandomi a un tipo di mondo musicale più estero e anglofono, quindi ho percepito poi come naturale il passaggio all’inglese, con le dovute accortezze. Mi piace molto perché è una lingua molto fluida e “immaginifica”, si possono dire moltissime cose in pochissimo spazio. E poi tutto sommato, ipoteticamente, mi può permettere di rendere comprensibile quello che dico a un numero molto maggiore di persone.

Quali sono gli artisti musicali del momento italiani e non, ad avere una nota di spicco per te?

Mi piacciono tantissimo (e sto ascoltando molto) a livello italiano i Terso e Her Skin. Hanno un approccio alla musica totalmente diverso fra di loro, ma molto curato e ben concepito secondo me. A livello estero invece è uscito il primo album di una cantautrice tedesca di nome Josin che mi piace molto, ha un’estetica elettronica molto soffice e contemporaneamente una bellissima voce.

Genova e UGA (Unione Giovani Artisti) hanno reso possibile il bel motore di cui tu fai parte, cioè un ambito di forme d’arte diverse che convergono e si ampliano, come si arriva all’equilibrio?

Trovare un equilibrio è molto difficile, infatti io mi sono dovuto allontanare da UGA per un periodo per ritrovare la strada giusta. Penso che alla fine l’equilibrio si trovi provandoci e riprovandoci, cercando di mantenere ben chiara nella testa la coerenza e l’onestà del proprio lavoro, accettando gli eventuali aggiustamenti o cambi di rotta.

A me piace molto riuscire a contaminare e a far convivere insieme una parte musicale e una parte visiva del mio progetto, e riuscire a trovare il giusto equilibrio (che sto comunque ancora cercando) è uno degli obiettivi che porto avanti passo dopo passo.

C’è un artista in particolare con il quale ti piacerebbe collaborare?

Mi piacerebbe molto poter collaborare con Any Other per la potenza della sua scrittura, e anche con i miei (quasi) “conterranei” Kettle Of Kites, che scrivono delle canzoni bellissime.

Il momento del concerto live, che esperienza è per te, come lo vivi?

Penso sia il coronamento più grande del mio percorso musicale, il vero banco di prova davanti al quale mostrarsi nudi e senza sovrastrutture. Il modo più vero e sincero per riuscire a creare quei ponti empatici di cui parlavo prima, e quindi un’esperienza irrinunciabile per me. Viverlo in una dimensione più “intima” o affiancato da altri compagni sono due esperienze molto diverse e ugualmente importanti per motivi differenti. Forse l’essere da solo, superata la prima fase del timore iniziale, personalmente mi fa sentire più a mio agio, perché è come se riuscissi a immergermi totalmente in quello che sto suonando.

Leggi la recensione dell’album blankets & bumblebees QUI.



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