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No. 5: un ensemble per Christina Vantzou

Ospite al Syros International Film Festival, Christina Vantzou ha subìto un vero e proprio momento epifanico o come lo definisce lei un “momento di focus”, dando improvvisamente compattezza e forma ad una serie di registrazioni che fino a quel momento erano rimaste nel cassetto in attesa di catalogazione.

La musicista di stanza a Bruxelles ha già dato ampie dimostrazioni nei suoi lavori precedenti di essere in grado di ricreare atmosfere uniche a metà fra ambient e drone, oltre ad un’evidente fascinazione per la musica classica. E nel nuovo disco No. 5, in uscita l’11 novembre per Kranky Records, si trova quasi a dirigere un vero e proprio ensemble, essendo ben 17 i musicisti coinvolti nel progetto.

Nonostante ciò, è evidente sin dal primo ascolto come l’approccio minimale non si perda fra gli strumenti ed anzi viene spesso messo in risalto da vortici di synth. Gli undici pezzi del disco rappresentano in questo senso dei frammenti legati insieme da un filo conduttore fatto di ansie improvvise e malinconie latenti.

Il gocciolio di Enter fa da perfetta apertura per la successiva Greeting, in cui la voce di Lieselot de Wilde si immerge in un’oscura atmosfera di field recordings. I synth modulari di Reclining Figures contribuiscono a dar vita ad un brano che da una parte chiama in causa la scuola berlinese e dall’altra tende la mano ad una spiritualità esotica, mentre in Red Eel Dream vanno a braccetto con il clarinetto di Ben Bertrand.

La musica da camera entra in gioco sia negli archi di Dance Rehearsal che nelle delicate trame di piano di Kimona I. Menzione necessaria per il dialogo a due fra synth e violoncello di Memory of Future Melody, una struggente litania che di tanto in tanto assume i toni di una danza di un’altra epoca.

No. 5 è un interessante esperimento che testimonia ancora una volta le indiscutibili capacità musicali di Christina Vantzou, questa volta in veste anche di organizzatrice di numerosi contributi e collaborazioni. Il punto di forza del disco sta sicuramente nella sua capacità di mettere insieme tanti musicisti senza mai snaturare la personalità della Vantzou.


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