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Age of Unreason: l’attacco dei Bad Religion alla società

A distanza di sei anni dal precedente True North e con due nuovi innesti (il chitarrista Mike Dimkich e il batterista Jamie Miller), il diciassettesimo album dei Bad Religion, Age of Unreason, in uscita il 3 maggio 2019 per Epitaph, va a coronare una straordinaria carriera di quarant’anni. Quattro decadi in cui il gruppo di Los Angeles ha fatto scuola e ha rivoluzionato la scena punk con il proprio melodic hardcore, il cui apice è sicuramente il capolavoro No Control del 1989. La proposta musicale, negli anni, è rimasta la stessa, consapevoli di non dover dimostrare niente a nessuno e fermi nel portare avanti la propria attitudine e soprattutto l’intenso messaggio politico e sociale da sempre presente nei loro lavori.

Sotto questo punto di vista, Age of Unreason non poteva di certo essere diverso, nell’epoca di Trump e del ritorno delle destre: l’album si presenta fin da subito uno spaccato sulla società odierna e su tutti i suoi lati negativi, a partire dal clima di intolleranza che si respira fino ad arrivare alle sempre più numerose fake news.

Allo stesso tempo, non è mutato di una virgola nemmeno lo stile dei Nostri e sin dal primo ascolto è evidente che in quest’ultima fatica non c’è spazio per le novità. Perentoria anche la straordinaria attitudine del gruppo, com’è evidente sin dal primo brano, Chaos from Within, il cui ritmo forsennato apre la strada ad una mezz’ora abbondante di durissimo punk. Do the Paranoid Style è una bomba che non può fare a meno di esplodere contro tutto e tutti, invece più melodica e, a tratti, introspettiva The Approach. Diretto l’attacco a Trump in End of History, traccia che potrebbe essere uscita dai lavori più datati del gruppo ma ancora attuale, devastante la forza della violenza musicale puramente hardcore della brevissima Faces of Grief. C’è spazio anche per un pezzo rock come Big Black Dog e per un degno finale come What Tomorrow Brings.

Complessivamente, Age of Unreason è un lavoro dal grande impatto tematico e rimane l’ennesimo buon esercizio di stile dei Bad Religion. Allo stesso tempo, però, non aggiunge molto alla discografia del gruppo, né rappresenta un cambiamento o un’evoluzione. Un album importante più ideologicamente che musicalmente.




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