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La musica degli Algiers sconfigge l’isteria collettiva.

Sembra Trieste, ma è Roma. Non è bora, ma il vento fa sicuramente da padrone la sera del 26 febbraio 2020. Spetta agli Algiers rasserenare questo clima poco confortevole.

Il gruppo statunitense arriva al Monk, luogo decisamente adatto per un concerto di questo tipo, in occasione del tour di There Is No Year, uscito lo scorso 17 gennaio. L’ultimo album mette in mostra ancora una volta la natura eclettica del gruppo, che unisce ad un sound post-punk una serie di influenze dal soul al gospel, passando per il post-industrial.

Nonostante il tempo, e le preoccupazioni degli ultimi giorni che hanno portato all’annullamento di tanti eventi in giro per lo Stivale, il pubblico risponde presente. In apertura, Esya, progetto di Ayse Hassan, bassista delle Savages, che intrattiene piacevolmente la folla con un sound a metà fra il synth minimale e l’indietronica.

Sono circa le 22:40 quando Lee Tesche sale sul palco e, invece della consueta chitarra, inizia a suonare il sax. È l’inizio di There Is No Year. Il resto del gruppo lo raggiunge sul palco e il pezzo, dopo un inizio su un tappeto di synth, esplode a metà brano. Dispossession mette in mostra le straordinarie doti vocali da puro soulman di Franklin James Fisher, purtroppo visibilmente influenzato ma in grado di portare avanti il concerto da vero combattente.

Dal vivo gli Algiers accelerano ancora di più, si sente più nettamente la loro vena punk. Matt Tong non si pone freni alla batteria, Ryan Mahan, basso e synth, è un vero e proprio frontman, si scatena e si dimena sul palco come pochi.

La scaletta non lascia momenti morti: viene rispolverato un classico del gruppo come Black Eunuch, tratto dal primo omonimo album, con un coro gospel ad ergersi su un riff spigoloso, per poi passare all’industrial di Walk Like a Panther, aperto da un discorso dell’attivista Fred Hampton. Il gruppo non ha mai nascosto i suoi ideali politici e la stessa forza ideologica è evidente nel loro live, vissuto con grande intensità.

Il ritornello di The Underside of Power rimane in testa e non va via, la voce, provata, di Fisher fa ancora una volta da protagonista. Void è un inno punk a 360º gradi, Cleveland un’elegante fusione fra soul e post-industrial. I Nostri si congedano con Hour of the Furnaces, poi risalgono per il bis: le pulsioni di Wait for the Sound esplodono in Death March, che chiude il concerto con una lunga jam finale, lasciando il pubblico in estasi.

Il gruppo di Atlanta porta sul palco del Monk un’ora e mezza di ottima musica, ed anche i pezzi più “deboli” dal vivo convincono decisamente di più. Dispiace non aver potuto ascoltare Fisher al massimo delle sue potenzialità, ma il risultato complessivo è ottimo: mai un momento morto, nessuna indecisione o imprecisione.

Gli Algiers dal vivo sono imperdibili, e si spera di rivederli in Italia quanto prima.

Guarda la gallery del concerto, a cura di Paola D’Urso, cliccando QUI.



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