Alla scoperta dell’ universo retrofuturista di Zerogroove
Dopo il debutto con Everyday (Kaczynski Edizioni), Giuseppe Fantini in arte Zerogroove si immerge con il suo nuovo album in un universo retrofuturista, un ibrido tra passato e futuro, tra ciò che siamo stati e ciò che siamo destinati a diventare.
La sua musica diventa così una domanda e una risposta allo stesso tempo: cosa siamo? La risposta si nasconde tra le pieghe di canzoni brevi e articolate, fedeli al classico formato della musica pop, dal sound ruvido e minimale, scandito da ritmi ossessivi di batteria elettronica, impreziosito da chitarre, tastiere e sintetizzatori che sembrano masticare e risputare un passato sonoro ormai assimilato.
Partendo dal principio di “Less is more”, in Away, far away, la traccia di apertura, Zerogroove si distingue per un beat volutamente storto che cattura immediatamente l’attenzione. Su questo tessuto sonoro si dipanano vibranti e camaleontiche linee di synth, che fungono da connettivo tra il ritmo audace e la voce distorta, creando un equilibrio intrigante tra semplicità e complessità. È un’introduzione che invita all’ascolto, dove ogni elemento, pur essendo essenziale, contribuisce a costruire un’atmosfera dinamica, dimostrando come meno possa diventare incredibilmente di più.
In Why D’You Shoot Em Up, la chitarra si anima, iniziando a graffiare con energica intensità, accompagnata da un beat ruvido e pulsante. Questa sinergia sonora dà vita a un mantra lisergico, guidato dalla voce effettata che sembra condurci attraverso un viaggio psichedelico. È in questo momento che la musica si rivela uno dei passaggi più affascinanti e sorprendenti dell’intero disco, invitandoci a scoprire nuove dimensioni sonore e a lasciarci trasportare da un’atmosfera ipnotica.
In Shame, le chitarre distorte e le modulazioni sonore assumono un ruolo predominante, creando un ritmo ipnotico che trasporta l’ascoltatore in una dimensione cibernetica e surreale. La traccia si distingue per un sound avvolgente, dove le suggestioni futuristiche si delineano attraverso l’uso sapiente dei fiati, che sottolineano i momenti di transizione e mutamento, disegnando spazi sonori dalle sfumature innovative e avanguardistiche. È un viaggio sonoro che cattura e coinvolge, immergendo l’ascoltatore in un universo audace e immaginifico, fatto di suoni distorti e pulsazioni ipnotiche che sembrano plasmare un futuro distante e inesplorato.
In Whatweare, Fantini ci invita a riflettere sulla nostra identità, sulla colpa condivisa e sulla nostra condizione di esseri in costante divenire. Un album che si presenta come un’opera di introspezione sonora, capace di fondere il passato con un futuro immaginato, in un affresco sonoro che sfida le convenzioni del pop tradizionale attraverso un linguaggio primordiale e marcio.
Nato a Caserta nel 1989, innamorato folle della musica, dell’arte e del basket. Nel lontano 2003 viene letteralmente travolto dal suo primo concerto, quello dei Subsonica, che da quel giorno gli aprirono un mondo nuovo e un nuovo modo di concepire la musica.
Cresciuto col punk e la drum and bass, ama in maniera smoderata l’elettronica, il rock e il cantautorato. Fortemente attratto dal post-rock, dalla musica sperimentale e da quella neoclassica, non si preclude all’ascolto di altri generi definendosi un onnivoro musicale.