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Flowers of Evil: gli Ulver ancorati negli anni ’80

Se nel 1995, pochi mesi dopo l’uscita del capolavoro Bergtatt, un uomo venuto dal futuro avesse rivelato al mondo che gli Ulver, band di punta del black metal norvegese, in futuro avrebbero suonato prima musica elettronica e poi addirittura, vent’anni dopo, synthpop, probabilmente nessuno gli avrebbe creduto.

Nessuno, eccetto gli stessi Ulver, che nella loro carriera prima hanno toccato i vertici assoluti del black metal, con Perdition City hanno dato una svolta a metà fra elettronica e trip hop, per poi passare all’ambient dreamy di Shadows of the Sun, fino alla dichiarazione d’amore per il synthpop anni ’80 dell’ultimo disco uscito nel 2017, The Assassination of Julius Caesar.

Nel mezzo di un percorso musicale così eclettico, però, la sensazione costante che i Nostri abbiano sempre perseguito una linea coerente con le loro idee ed il loro sound, sviscerato in ogni ambito possibile ed immaginabile.

Oggi, Flowers of Evil, in uscita il 28 agosto 2020 per House of Mitology, continua le sonorità dell’album precedente, e sin dal primo ascolto appare come il suo naturale figlio/fratello. La proposta è ancora quella di un synthpop old school, che di tanto in tanto lascia il post ad art pop e synthwave, ma i toni sono ancora più oscuri, ispirati dal Bosco di Bomarzo, in provincia di Viterbo.

In apertura, One Last Dance mette in mostra tutte queste caratteristiche: un intro crepuscolare lascia presto spazio ad un tappeto di synth e a ritmi che ne fanno, paradossalmente, un innocuo pezzo pop, al pari del singolo Russian Doll, che risente chiaramente dell’influenza di Depeche Mode e dei Tears for Fears più introspettivi.

Dai forti sapori vintage è anche Hour of the Wolf, dalle sonorità più contenute e meno esplosive come in Apocalypse 1993, probabilmente fin troppo pacchiano nelle sue trame synth-dance.

Il singolo Little Boy rispecchia un po’ la confusione dell’album, con una partenza sotto tono ma in netta ripresa nella seconda parte. Chiude A Thousand Cats, forse il momento migliore del lotto, dalle forti tinte melodiche, decisamente il brano più particolare dell’intero album.

Se The Assassination of Julius Caesar non aveva già pienamente convinto a causa di un sound troppo derivativo e, prima volta nella carriera degli Ulver, poco personale, Flowers of Evil non riesce a invertire la rotta e, anzi, la abbraccia in modo ancora più concreto.

Per quanto sia un’esplicita dichiarazione d’amore ad uno stile anni ’80, i norvegesi non riescono a dare un’impronta caratteristica e nuova alla loro musica, come hanno sempre fatto per ogni genere sperimentato fino ad oggi.

AAA: cercasi Ulver.




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