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Pianoforte e inquietudine per l’esordio solista di Mirza Ramic

Saigon Would Be Seoul è il moniker che accompagna la prima uscita solista di Mirza Ramic, già parte del duo di musica elettronica Arms And Sleepers, intitolata Everywhere Else Left Behind e pubblicata lo scorso 21 giugno via {int}erpret null.

Mirza è un ragazzo di origine bosniaca, costretto a scappare, insieme alla madre, dalla guerra che lo ha privato della figura del padre oltre che di qualsiasi forma di stabilità. Dopo un lungo peregrinaggio in varie nazioni nel corso degli anni ’90, Mirza si stabilisce negli Stati Uniti, dove trova presto la sua dimensione di composer e producer di musica elettronica.

In questo nuovo progetto, tuttavia, il nostro ha inteso distaccarsi completamente dal mondo electro e concentrarsi sul pianoforte, ai cui studi è stato introdotto, all’età di 6 anni, proprio dalla madre e che hanno segnato l’inizio del suo percorso. Ed è esattamente sul proprio personalissimo percorso interiore e di vita che Mirza Ramic intende lavorare.

Il frutto è un collage di 19 tracce, dominate dal pianoforte ed in cui si inseriscono alcuni frammenti di registrazioni vocali femminili e qualche piccola apparizione di campionamenti ritmici o ambientali, composte e registrate nel corso di 3 anni di viaggi tra Repubblica Ceca, Lettonia, Germania e Stati Uniti.

A farla da padrone nel corso di tutto l’ascolto del disco è un sentimento misto di malinconia ed inquietudine. L’impressione è che le tracce siano tutte delle sorte di appunti di viaggio e di fotografie impresse in alcuni momenti in cui nella testa di Ramic affioravano pensieri e ricordi, che hanno trovato modo di essere espresse solo attraverso note di pianoforte.

Non ci sono virtuosismi né tantomeno ritornelli fischiettabili. Le note disegnano armonie talvolta dolci (For Those You Think Young su tutte), spesso tese (Sometimes You Just Need To Be A Dot, scandita da ansiosi rintocchi, ma anche Meditation Is An Emergency o ancora Homme Du Midi), che sono ideali colonne sonore di scene di vita impresse nella mente del compositore e che lasciano addosso, al contempo, una nostalgia per ciò che è stato e che ha contribuito alla nostra formazione, e un senso di insicurezza e inquietudine per tutto ciò che è rimasto incompiuto e per quel che sarà. Il tutto accompagnato dai continui mutamenti e spostamenti, frutto di un’instabilità ormai divenuta naturale.

Un disco, insomma, estremamente intimo e personale, questo di Saigon Would Be Seoul, ma in cui, tuttavia, molti di noi, vittime dell’instabilità di cui sopra, rischieranno inevitabilmente di immedesimarsi.




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