Richard Bégin, tra reminiscenze lontane e inquietanti echi di un passato perduto
Nel silenzio ovattato tra ricordi e irrealtà, l’ultimo lavoro di Richard Bégin si apre come un viaggio attraverso i confini sfumati della memoria. Un paesaggio sonoro che cattura l’essenza del Déjà vu, dove i suoni si stratificano e si dissolvono in un flusso temporale fluido, invitando l’ascoltatore a immergersi in un mondo di texture fragili e atmosfere evanescenti.
Tra reminiscenze lontane e inquietanti echi di un passato perduto, l’album si rivela come un’odissea sensoriale che sfida i confini della memoria e del tempo, rendendo palpabile l’eterna danza tra presenza e assenza.
Pubblicato attraverso la svedese Reverse Alignment, l’album del compositore canadese rivela decostruzioni digitali alla Fennesz e melodie intrise di nostalgia, richiamando l’atmosfera sognante dei Boards of Canada. L’opera abbraccia l’imperfezione, stratificando trame che oscillano tra chiarezza e erosione, trascinando l’ascoltatore in un viaggio tra il conforto del riconoscimento e l’inquietante consapevolezza che il passato è sempre appena fuori portata, sfuggente eppure presente in ogni nota.
L’album si apre immediatamente con La nuit des boudoirs capitonnés, un brano che abbraccia l’ascoltatore attraverso contemplazioni dai toni zen e un’atmosfera new-age, creando un mix celestiale di sonorità. Pattern ripetitivi e ipnotici si susseguono in loop, vivacizzati da crepitii elettronici che si intrecciano con il battito pulsante della traccia. Questa combinazione conferisce dinamicità e profondità, permettendo all’ascoltatore di galleggiare tra strati di nuvole sintetiche, in un viaggio sonoro che evoca sensazioni di leggerezza e meditazione. L’intera composizione si trasforma così in un’esperienza immersiva, capace di trasportare in un universo di suoni eterei e suggestivi.
Nella seconda traccia, Delvau, i toni si fanno più cupi e intensi, passando da sonorità eteree a un’atmosfera rarefatta, quasi soffocante. I suoni dei synth si fanno opprimenti, creando un senso di inquietudine, mentre, legandosi ai field recordings, danno vita a una produzione che rappresenta perfettamente uno stato di tensione e malinconia in equilibrio instabile.
Juin 1831 rappresenta uno dei momenti più intensi dell’album, offrendo un affascinante mix di strati di risonanze cupe che si amalgamano per creare pareti sonore sfaccettate e avvolgenti. Questa composizione si distingue per il suo carattere cinematografico, ricco di pathos e suggestioni profonde, trasportando l’ascoltatore in un viaggio emozionale carico di sfumature e tensione.
Déjà Vu di Richard Bégin si presenta come un caleidoscopio di ricordi frammentati, un viaggio sonoro che sfuma i confini tra passato e presente, realtà e immaginazione. Attraverso un’accurata manipolazione delle texture e delle atmosfere, l’album invita l’ascoltatore a perdersi in un labirinto di memorie evanescenti e sensazioni sospese, dove ogni nota diventa un filo sottile che collega le emozioni.
Nato a Caserta nel 1989, innamorato folle della musica, dell’arte e del basket. Nel lontano 2003 viene letteralmente travolto dal suo primo concerto, quello dei Subsonica, che da quel giorno gli aprirono un mondo nuovo e un nuovo modo di concepire la musica.
Cresciuto col punk e la drum and bass, ama in maniera smoderata l’elettronica, il rock e il cantautorato. Fortemente attratto dal post-rock, dalla musica sperimentale e da quella neoclassica, non si preclude all’ascolto di altri generi definendosi un onnivoro musicale.