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Alla ricerca di un posto nel magma fluido della musica artificiale moderna.

Per descrivere Calibrate, l’ultimo lavoro del producer brasiliano Ricardo Donoso per l’etichetta Denovali Records, potrebbe essere utile prendere a prestito una frase presente proprio nel press kit del disco: Un viaggio attraverso Calibrate è un esercizio di instabilità e fallimento”. Per instabilità s’intenda quella dell’ascoltatore che già conosce il lavoro di Donoso e viene colto un po’ alla sprovvista sin dalla prima traccia, che sembra quasi composta da una persona diversa da quella che ha sfornato gli album precedenti. C’è poi l’instabilità dello stesso Donoso, alle prese con una voglia di provare abbandonare la propria comfort zone (ammesso che ne avesse una) e provare cose nuove.

Abbandonate le suggestioni un po’ eteree di Machine to Machine o i fitti e oscuri paesaggi di Saravá Exu, Donoso esplora ancora una volta territori nuovi. Scoperchia il vaso di pandora del noise più sfrenato e gioca con quello che ne esce fuori, creando qualcosa che danza sulla linea di confine tra la techno, l’elettronica e la musica sperimentale.

Quanto poi al fallimento, non si vuole certo dire che Calibrate sia un lavoro mal riuscito; come suggerisce il nome, il riferimento è al tentativo fallito di tarare il proprio stile su dei parametri prestabiliti. A volte Donoso sa essere violento (Rendering The Ineffable, A Tour Of A Virtual City), altre volte infausto (Metonymy, A Vigorous Unfolding), a volte sembra essere uscito dalla soundtrack di Stranger Things (In Search of Lost Time, Inimical) e altre ancora gioca con l’inafferrabile cadenza di un più puro stile industrial (Disconnected Visions). Ma in nessuna di queste forme il musicista bostoniano d’adozione si dimentica del suo scopo: destabilizzare l’ascoltatore.

Non si può ascoltare Calibrate senza uscirne un po’ provati, nell’udito e nella mente, perché le composizioni di Donoso non lasciano tregua, sono un continuo bombardamento sonoro, a tratti suggestivo e a tratti irritante. Sembra quasi che il producer brasiliano abbia voluto tentare di mettere alla prova sé stesso e il suo pubblico con un esperimento, il cui risultato finale sono confusione e disorientamento. Un po’ come con Inland Empire di David Lynch, ma con più coerenza interna. La domanda finale resta però la stessa: cosa ho visto o, in questo caso, sentito esattamente?

Il fatto stesso che ci siano una o più domande da porsi al termine del disco è segno che non siamo di fronte ad un lavoro banale. Di Donoso non si può non apprezzare l’animo curioso, la voglia di sperimentare, la poliedricità artistica e la cura per i dettagli. Le architetture sonore sono caotiche, ma si riesce comunque a seguire il filo del discorso, segno che i disturbi elettronici, i rumori e i synth sono piazzati tutti al punto giusto. Si accetta la fatica dell’ascolto con la consapevolezza che dietro tutto questo c’è una ricerca, incessante e frenetica, di un posto nel magma fluido della musica artificiale moderna.




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