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È un momento difficile, tesoro – Un album che canta sulle corde della malinconia.

Tutti bene o male conoscono Nada, un nome che raggruppa generazioni: dai più anziani che la ricordano, giovanissima, a Sanremo nel 1969 con quella che divenne una hit internazionale Ma che freddo fa, o, quando, nel 1971 vinse il Festival con Il cuore è uno zingaro, agli adulti che la hanno vista attraversare gli anni ’80, saldamente in testa alle classifiche con l’album Smalto e con il singolo Amore disperato con cui nel 1983 vince il Festivalbar, Azzurro e Vota la voce.

I più giovani la ricordano, oltre che attraverso tali pezzi, che compongono irreversibilmente la storia della musica pop italiana, per via della collaborazione con i Zen Circus nel 2011 con Vuoti a perdere, e per la sua Senza un perché che è stata recentemente inserita da Paolo Sorrentino all’interno della colonna sonora della serie TV The Young Pope, un successo mondiale distribuito in oltre centoquaranta paesi.

Ma venendo ad oggi, quanto può significare, a 50 anni dal debutto, un nuovo album di Nada? Sul serio tanto! E vi spiego perché.

S’intitola È un momento difficile, tesoro ed è uscito il 18 gennaio 2019 per Woodworm Label / Artist First.

Il nuovo lavoro discografico vede il ritorno alla produzione niente meno che di John Parish (già produttore di PJ Harvey, Eels, Giant Sand, Afterhours ed altri), che torna al fianco di Nada dopo lo splendido lavoro fatto nell’album Tutto l’amore che mi manca nel 2004.

Nell’album si ritrova la vita, il pensiero e l’amore di cui Nada è capace, ed è stato anticipato dall’uscita del singolo Dove sono i tuoi occhi, in cui si arriva ai decibel più elevati, accompagnato da un videoclip, diretto da Francesco Cabras, girato al Macro-Asilo, museo di arte contemporanea di Roma, seguito dal secondo brano estratto che fa da title track È un momento difficile, tesoro.

Dieci canzoni nate negli abissi del mio nero profondo, per poi misteriosamente raggiungere i colori e la leggerezza del pensiero, finalmente libero di andare dove portano sentimento e ragione che si uniscono per diventare tutt’uno. Anema e core, avrebbe detto il mio grande amico Fausto Mesolella, a cui dedico le parole di questa opera.

Sarà una spiegazione fin troppo personale, empatica, ma trovo l’album come espressione narrativa di un momento in cui probabilmente tutti potremmo ritrovarci, prima o poi.

L’arzigolatura, la spigolosità vocale rende bene alcuni cinismi, mentre, circolarmente, si alternano parole carezzevoli e Leitmotiv ricorrenti (la richiesta di riprovarci sempre, tirare a campare finché si può, ad esempio!) ma alle volte anche la volontà contrapposta di lasciar perdere tutto e annullarsi (è il caso di Disgregata).

Il disco suona abbastanza retrò: il basso ovattato, l’organetto psichedelico, il beat d’accompagnamento, sembrerebbe di ritrovarsi nuovamente nei ’70 con elementi stilistici e ricognitivi tra il blues, il jazz (nel caso dei fiati e delle spazzole) ed il rock alternative.

Aldilà dei singoli, idonei a risuonare a livello radiofonico, ci sono delle chicche introspettive che, nel livello interpretativo e creativo fanno emozionare e rabbrividire al contempo, è il caso di Madre, in cui la volontà è collocata nel rientrare nel grembo materno, per rinascere nuovamente e ritornare ad una nuova luce.

L’album termina con una sorta di requiem con inizio in duo organo-voce in clean, fino al beat di batterie con bacchette a spazzola ed una sussurrata linea di tromba. Da pelle d’oca fino all’ultimo secondo.

In Nada ritrovo la quiete triste di chi si sente un poeta dentro, ed il fil rouge delle dieci tracce è da ritrovarsi sicuramente nella malinconia interconnessa alla mancanza, alla solitudine, all’inquietudine profonda. C’è da chiedersi in effetti qual atroce momento abbia potuto vivere e se ne sia finalmente uscita.




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