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Glassforms: un ibrido fra musica classica ed elettronica

Da una parte Max Cooper, che con la sua proposta fra ambient techno e IDM ha conquistato  un posto di rilievo nella scena elettronica degli ultimi anni. Dall’altra Bruce Brubaker, pianista fra i più importanti della scena classica contemporanea.

Due mondi apparentemente opposti, ma uniti da un fondamentale filo conduttore: Philip Glass. Brubaker è stato fra i primi ad interpretare la musica del compositore statunitense, ma Glassforms, in uscita il 5 giugno 2020 per InFiné Music, non vuole essere un semplice omaggio, e nemmeno una reinterpretazione classica. L’idea di base, infatti, è quella di prendere la musica di Glass e trasformarla in qualcosa di nuovo ed inedito.

Piano e synth, un background classico unito all’elettronica. Un’operazione ambiziosa, resa possibile grazie ad un hardware sviluppato da Alexander Randon, in grado di unire i dati del piano di Brubaker alle aggiunte apportate da Cooper. Il risultato è che ogni composizione di Glass prende una forma diversa, muta e cambia pelle, si crea e si sfalda da un momento all’altro.

Inevitabilmente, quindi, ogni traccia diventa un piccolo esperimento: che sia nella lunga Metamorphosis, l’incontro per eccellenza fra l’eleganza composita del piano e le sonorità fluide ed energiche dell’elettronica, o nei riverberi accostati come un ossimoro al trascinante flusso di note del piano in The Poet Acts, l’impressione è che ogni momento dell’album sia stato concepito come un ibrido fra due mondi lontani.

Il lungo singolo Two Pages è il manifesto dell’intera opera: il tappeto di suoni creato dal pianoforte dà la possibilità a Cooper di sbizzarrirsi come più preferisce e passa dalla sperimentazione della musica concreta a momenti riflessivi in salsa ambient, per poi ergersi, nel finale, in eteree sonorità space. In chiusura, Opening, atto conclusivo del viaggio, è l’ultima essenziale fusione fra mondo classico e synth dal sapore spazio-digitale.

Complessivamente, Glassforms è un esperimento ambizioso e riuscito, ricco di spunti interessanti. La musica di Philip Glass prende vita in modo totalmente atipico, e i meriti di Max Cooper e Bruce Brubaker sono evidenti.

Un lavoro sicuramente ostico, di cui è difficile cogliere immediatamente tutte le varie sfumature, ma che nel giusto contesto riesce nel suo intento: omaggia Glass ma allo stesso tempo conserva una forte identità.




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