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Le ineludibili gabbie sonore dei Mattatoio5

Escapes è il nuovo lavoro dei Mattatoio5, trio veneto formatosi nel 2013 e composto da Tommaso Meneghello (voce), Davide Truffo (chitarre) e Filippo de Liberali (synth, programmming and visual).

Il disco, che arriva sei anni dopo l’esordio discografico con Cheap Hop (2015),  è una miscela di elettronica e synth-pop di depechemodiana ispirazione, arricchita di elementi di trip-hop e post-rock e affogata in una densa coltre di dark melancholy.

Tuttavia questo groviglio di connotazioni e di aggettivi forse non basta ad inquadrare un disco che è tutt’altro che scontato, ma che allo stesso tempo, se ascoltato tutto d’un botto, ti lascia ingabbiato in una (voluta?) dimensione avvilente, piuttosto che offrire l’agognata via d’uscita. 

Introdotto dai sussurri di Hey There (vagamente floydiani) si ha subito l’idea di confrontarsi con qualcosa di impegnativo ma per certi versi avvincente.

The Glutters, brano per il quale è stato realizzato anche un videoclip, è una buona dimostrazione di equilibrio e di corretta amalgama degli elementi sonori: la voce che rimugina sempre sulla stessa linea melodica senza mai scomporsi più di tanto, le chitarre che si rifiutano di venire fuori con la loro esplosività altrimenti dannosa e così tutto il resto. 

Untie me è il brano meglio riuscito del disco, tanto per le accattivanti dinamiche sonore di matrice trip-hop quanto per l’oscura perfomance vocale della poetessa canadese Adeena Karasick che ben si presterebbe al racconto delle macabre uccisioni di Jean-Loup Verdier, il serial killer di Faletti in Io Uccido.

La successiva Grey fa emergere una tensione crescente, coltivata dalla voce di Meneghello e dalle incursioni strumentali, che finisce per implodere in un groove dalle parvenze danzerecce.

Come togheter è un incrocio (mica tanto funzionante) tra una sfuriata metal con tanto di grool e una trip-hoppata pesante alla Angel dei Massive Attack .

Si arriva così ad Escapes, barbosa title track realizzata con il featuring di Romina Salvadori degli estAsia. 

Rat Race ovviamente non ha nulla a che fare con l’omonimo capolavoro marleyniano ma è invece una composizione lunga e spigolosa, una sorta di elogio della disperazione dove le chitarre stridono e la batteria fa la guerra con tutto ciò che prova a coprire i suoi timpani.

Decisamente più distensiva la traccia di chiusura, Lost in Time.




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