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La sonata per Berlino di Massimo Zamboni

Kreuzberg è un quartiere di Berlino (ovest) che, ai tempi del muro si trovava al confine. Per questa sua posizione, negli anni ’80 divenne centro della controcultura berlinese, con presenza di punk e di artisti. Chi se non Massimo Zamboni, poteva dedicargli una sonata?

Il nuovo disco dell’autore, scrittore e fondatore dei CCCP fedeli alla linea e dei CSI, si chiama per l’appunto Sonata a Kreuzberg, “Luogo glorioso di residenza di migliaia di Hausbesetzer, gli occupanti di case che in quegli anni di Muro hanno dato un volto umano alla città. A lei, e a loro, va questa nostra Sonata“.

Il disco è in collaborazione con Angela Baraldi alla voce e Cristiano Roversi al pianoforte e alle ritmiche e, per l’occasione, Massimo lascia da parte la chitarra ed imbraccia il basso.

Un disco dall’animo elettronico ma decisamente in via sperimentale date le molte influenze musicali, dalla musica classica chopiniana, a melodie interstellari intarsiate di xilofono.

Le 14 tracce provengono dalla colonna sonora dello spettacolo teatrale Nessuna voce dentro – Berlino millenovecentottantuno, tratto dall’omonimo romanzo pubblicato da Einaudi nel 2017, e da qui che si comprende l’utilizzo della lingua tedesca e le dimostranze alquanto industrial che portano la mente agli avanguardisti Einstürzende Neubauten come nella traccia In the Garden.

Der Rauber Und Der Prinz, è la traccia spola tra un basso introspettivo, un beat di batteria elettronica e suoni sintetizzati di rimando techno, una modifica sostanziale al pezzo originale dei D.A.F. o Deutsch-Amerikanische Freundschaft, il gruppo di punta del genere musicale dell’annata ’70 della Neue Deutsche Welle tedesca.

Paul ist tot stravolge totalmente l’originale dei Fehlfarben, uno dei gruppi eroi della Berlino dell’81. Accorciata nella durata, tagliata nel testo, scompaiono chitarre, basso, tastiere e batteria dell’origine, escono un pianoforte accorato e una voce nuda. La voce, quella della Baraldi, diventa dolce (e fa tornare alla mente l’attacco di Because the night di Patti Smith); in Bette Davis eyes, grandissimo successo inizi ’80, a Berlino come in tutto l’Occidente: un pianoforte che parte in minore riduce all’essenza l’hit di Kim Carnes che in quegli anni si ascoltava ovunque, dai locali più retrò alle case occupate d’Europa.

Tutto il contrario di ciò che accade nella successiva Hundsgemein degli Ideal, dove il canto di Angela, in un tedesco all’ultimo stadio, diventa a dir poco sguaiato e rabbioso per questo inno punkettone con venature dance.

C’è anche un ritorno al pezzo Allarme dei CCCP, in un rifacimento con l’inserimento del pianoforte, una traccia che personalmente ho amato soprattutto per la voce femminile al posto di quella che fu del Ferretti.

Quel che bisogna specificare è che le canzoni dell’album non si pronunciano, ma si vivono nella loro essenza. Sonata a Kreuzberg è l’inno per un quartiere vivo nella mente e nel cuore di una generazione e nell’immaginario di quelle successive.

Un disco che narra il vissuto di una storia personale che si incrocia con la Grande Storia e, per questo motivo, si trasforma in una scarica di emozioni per chiunque lo ascolti.



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