Suoni e visioni nei racconti di Thom Yorke e Mark Pritchard
Sembrava solo questione di tempo l’approdo di Thom Yorke alla Warp dopo un’intera carriera votata alla ricerca elettronica anche laddove sembrava non esserci spazio: basta pensare all’evoluzione dei Radiohead, partiti dal brit-pop di Pablo Honey (1993) e approdati alle alchimie elettroniche di The King of Limbs (2011), o a quella comunione fra art rock e inserti indietronica che prende il nome The Smile assieme al sodale Jonny Greenwood. Ma ancor più di queste esperienze è la carriera solista ad essere inequivocabilmente votata a certe sonorità astratte, volte ad indagare in modo diretto, e non più di lato, il mondo dell’elettronica: glitch, ambient, indietronica, addirittura echi future garage (Tomorrow’s Modern Boxes, 2014) e IDM/Ambient techno (ANIMA, 2019).
Oggi, finalmente, l’arrivo alla Warp con Tall Tales, in uscita il 9 maggio 2025, assieme a Mark Pritchard, già da tempo legato all’etichetta britannica e soprattutto sperimentatore indissolubile nella scena elettronica inglese: Reload, Link, Global Communication sono solo alcune delle sue firme pregiate. I dodici brani del disco raccontano l’incontro fra i due, avvenuto una decina d’anni fa e concretizzato in album solo ora, portando avanti, pezzo dopo pezzo, tutto il background dei due musicisti.
Paradigmatico, in quest’ottica, il singolo Back in the Game: sonorità oscure e opprimenti narrano la disgregazione del mondo tecnologico, la voce di Yorke, manipolata digitalmente, diventa un vero e proprio strumento pronto a fondersi con le macchine di Pritchard. Ed è proprio quest’unione ad assumere via via caratteristiche e sfumature diverse: il surrealismo lynchiano di Bugging Out Again, il climax glitch pop dell’opener A Fake in a Faker’s World, l’inaspettata delicatezza di The Spirit. Non cambia atmosfera né intenzioni la seconda parte del disco, che prosegue a presentare nuove esplorazioni sonore, come gli echi soul del singolo This Conversation is Missing Your Voice trasformati in un’oscurità di memoria hauntology nella successiva title-track, parzialmente riscontrabile anche nella loureediana The Men Who Dance in Stag’s House.
La mano di Mark Pritchard si sente eccome dato che Tall Tales suona onirico come mai nessun disco solista di Thom Yorke era riuscito finora. Il disco purtroppo non si scrolla una patina cervellotica lunga un’ora, ma sono i pezzi più riusciti a portare avanti un lavoro coraggioso che testimonia, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la costante ricerca sonora di due musicisti che non riescono proprio a restare confinati in una comfort zone.
Classe ’99, laureato in Lettere moderne e alla magistrale di Filologia moderna alla Federico II di Napoli.
La musica e il cinema le passioni di una vita, dalla nascita interista per passione e sofferenza.