Immaginate di camminare all’interno di una foresta, buia, selvaggia, ancora intoccata dalla civiltà. Immaginate di essere voi quella civiltà che vi entra e la sporca. Immaginate di introdurvi all’interno di un luogo ancestrale, ricco ancora di antichi connotati magici. Immaginate di sentire il suono delle foglie, la voce degli alberi e di entrare in connessione con essi dimenticando tutto ciò che eravate prima di mettervi piede. La città, la quotidianità non esiste più: c’è un viaggio da intraprendere, qualcosa che supera i confini della scatola cranica.
Immaginate di essere colpiti e accolti dalla potenza di una voce che sembra venire da un tempo lontano, nemmeno da un ricordo, ma da un angolo remoto, ai margini degli occhi, qualcosa di nuovo che però risulta familiare, come se fosse sempre stato accanto a voi. Ecco, quando ascoltate Pentatonic Ruins di Mansur, il suo quinto disco che segue direttamente il lavoro del 2022 Oscuras Flores, sono queste le sensazioni che vi pervadono, che vi abbracciano e vi ammaliano.
Mansur ci presenta una serie di brani in chiave “Trance”, ipnotica, dove la musica segue un concetto rituale, trascendentale, superando i limiti del minutaggio e riecheggiando perpetua nella nostra mente. La vastità dei suoni scelti da Mansur, sia quelli più delicati sia quelli più ruvidi, il loro accostamento e la loro ripetizione, fanno da sfondo alla voce evanescente e angelica, priva di imperfezioni, di
Martina Horvat, mettendola in risalto e rendendola protagonista di tutto il discorso musicale insito in
Pentatonic Ruins. Essa diviene presenza onnipresente grazie all’utilizzo sapiente dell’eco, e melodia pura tramite la costruzione armonica delle linee vocali. La voce: filo conduttore di tutti e nove i brani che compongono
Pentatonic Ruins, legati tra loro da questa presenza vocale che supera i limiti dello spartito e del brano stesso; eppure distanti da loro per le atmosfere evocative in grado di ricreare: sembra ora di essere in un sabba di streghe mentre ascoltiamo
Nap, e ora ad osservare silenti un’opera d’arte in un museo interamente vuoto; ora siamo in un deserto camminando spinti dal miraggio di un po’ d’acqua mentre ascoltiamo
Higany, ora siamo esseri leggeri che si librano oltre le nuvole, nel cielo.
Pentatonic Ruins attraverso la sua complessità armonica e strutturale vuole darci la possibilità di fare qualcosa di molto semplice quanto necessario: viaggiare, grazie alla musica, al di fuori del nostro corpo, dei limiti che rinchiudono la nostra anima, ma anche al di fuori della società che ci portiamo dietro, sulle spalle, ogni giorno.
In questo senso la musica di Mansur diventa vero strumento di liberazione e mezzo per esplorare i limiti della struttura stessa della musica, superandoli. Basta chiudere gli occhi e ascoltare.