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Ad uno ad uno, i Mammal Hands liberano i loro Captured Spirits, creature meravigliose che sembrano uscite da un altro mondo

Allineati sugli scaffali sei Mammal Hands ci sono dei polverosi barattoli di vetro, all’interno dei quali si agitano luci danzanti, sbuffi di fumo colorato ed esseri bizzarri di ogni forma e dimensione. Sono i loro Captured Spirits, creature difficili da definire o da identificare ma che riescono brillantemente ad incarnare idee, pensieri e stati d’animo. Ad uno ad uno, i Mammal Hands lasciano uscire gli spiriti dai loro contenitori, e con la magia luminosa della loro musica ne dirigono i movimenti, ne suggeriscono la forma, creando uno spettacolo senza pari.

Nel primo di questi contenitori si trova Ithaca, uno strano animale che ricorda vagamente una farfalla di un grigio intenso, che viene risvegliata da un lento torpore al suono di fiabesche progressioni al pianoforte. Man mano che i fiati si insinuano nel vetro del barattolo, le ali dell’animale cominciano a colorarsi di un blu profondo, notturno, mentre i colpi sordi delle percussioni suggeriscono l’ampiezza e la frequenza del battito. Quando, dopo una manciata di minuti, l’animale è in grado di volare libero, incanta tutti con le sue evoluzioni, i suoi leggiadri volteggi e le strane trame che le sue ali crepuscolari disegnano nell’aria. Ithaca ha un che di ipnotico, straordinariamente coinvolgente pur nel suo assoluto garbo e nel suo dispiegarsi senza fretta.

Chaser, invece, è di tutt’altra specie: un turbinio di luci arancioni che aumentano e diminuiscono di intensità con una rapidità impressionante, seguendo ritmi a volte sincopati e coerenze tutte interne. Un’appendice si leva ad ogni incursione del fiato, mentre il corpo centrale tiene dietro percussioni frenetiche e sorridenti. La parte bassa è occupata tutta da un piano che corre come un millepiedi, rapido, lineare e martellante. È la frenesia della caccia, l’ebrezza della corsa a perdifiato, lo sfogo dell’anima libera.

Rimesso Chaser nel suo barattolo, è ora di far uscire Late Bloomer, che all’inizio non è altro che una sfera pulsante di materia liquida, colorata di un giallo acceso. A man mano che la sfera assorbe l’aria circostante si espande, sbocciando come un fiore colpito dai raggi del sole. I fiati ne spalancano le corone, spianando la strada ad un mistico pianoforte; quando il fiore è pronto, delle percussioni irregolari e precise indicano i punti da cui far sgusciare fuori nuovi steli e nuovi germogli, sottolineati da un ispiratissimo sassofono. Trascorsi appena 3 minuti, ciò che era semplice diventa intricato, complesso e meraviglioso, un intrecciarsi di fitte linee melodiche che esplodono come fuochi d’artificio fino alla conclusione, improvvisa ed esilarante.

La giara etichettata con Versus Shapes non contiene, in realtà, una sola creatura, ma due. La prima si snoda sinuosa come una serpe del deserto, attirata dai fiati seducenti e dalle ammalianti percussioni nordafricane; l’altra cavalca un pianoforte sincopato ed ha un’anima più fluida, quasi marina. Le due creature appartengono ad elementi diversi, ma corrono in sintonia quasi perfetta, l’una riempiendo gli spazi lasciati vuoti dall’altra. È un’armonia quasi perfetta tra noto ed ignoto, come stare sulla soglia di casa propria ad osservare un panorama mai visto, che provoca una stupenda sensazione di calore alla bocca dello stomaco.

Se poi si volesse scendere in cantina, basta seguire Spiral Stair e le sue mistiche evoluzioni verso il buio; con un piano che sembra una campana, delle percussioni dal sapore rituale e un sassofono suggestivo, veniamo guidati in discesa lungo gradini sempre più ripidi, con la promessa che in fondo alla scala, ad aspettarci, ci sia un mondo fantastico di cui finora non abbiamo avuto che un fugace assaggio.

Queste e ancora molte altre bizzarrie compongono Captured Spirits, una collezione di preziose ed affascinanti creature che merita, se non devozione, quantomeno un’attenzione pura ed indivisa. Per quanto l’aria in questo nuovo lavoro dei Mammal Hands sia nettamente più calma, le vibrazioni sono quelle già avvertite con l’ottimo Shadow Work del 2017, ovvero quel meraviglioso miscuglio di neo-classica, jazz e raffinati frammenti di musica esotica che li ha consolidati come una delle formazioni più interessanti del decennio, al pari di band assimilabili come i GoGo Penguin o i primissimi Portico Quartet.

C’è la stessa affezione per le ripetizioni di linee melodiche al piano, lo stesso sapiente uso di fiati struggenti e riverberati, lo stesso guizzo geniale che cattura l’attenzione. Con quest’ultima opera viene completata la virata, apprezzata da alcuni e vituperata da altri, verso quell’elettronica ambient che ha invaso le nostre casse negli ultimi anni, imprimendo al suono la giusta rotazione per farlo sembrare, al contempo, familiare e originale. Le esecuzioni, poi, sono come al solito magistrali, e sul punto pare inutile, in questa sede, spendere parole senz’altro superflue; non c’è sintesi che valga un ascolto diretto.




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