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King Krule non sbaglia un colpo, Man Alive! ne è la prova

Sono sotto gli occhi di tutti i motivi per cui Archy Marshall, noto al pubblico come King Krule, sia diventato nell’ultimo decennio motivo di discussione. E questa serie di ragioni è riassumibile nella sua unicità.

Il musicista britannico rappresenta tutto ciò che è lontano dalla concezione di cantautore moderno, dalla banalità della formula voce/chitarra ad accompagnare un pezzo d’amore strappalacrime, alla monotonia degli artifici pop che si ripetono fino allo sfinimento.

Eppure, il legame con il cantautorato c’è: il suo primo album, 6 Feet Beneath the Moon, ne è la prova. Questa distanza, dunque, tende ad esprimersi non nello stile, quanto nel variegato mondo musicale che forma i suoi dischi; è per questo che King Krule è l’anti-cantautore per eccellenza. Se in The Ooz, uscito già tre anni fa, dietro la facciata dell’album art rock si nascondeva una serie lunghissima di influenze, dal post-punk al nu jazz, passando per il trip hop, è proprio perché ha da sempre rifiutato una concezione schematica della musica. Ed è proprio questo eclettismo a renderlo unico.

Non c’è da sorprendersi, quindi, se una certa ansia collettiva ha permeato l’attesa del suo nuovo album, Man Alive!, in uscita il 21 febbraio 2020 per XL Recordings. Sin dal primo ascolto spiccano subito due fattori: un utilizzo più acceso di sonorità post-punk, soprattutto nella prima parte, e un’ennesima ricerca di ispirazioni diverse, fra neo-psychedelia e ambient pop, oltre alle onnipresenti influenze jazz.

Apre Cellular con glitch e pulsazioni new wave, che nella successiva Supermarchè diventano ancora più ossessive e acide, complice delle vocals nervose ed irrequiete. The Dream mostra la vena più introspettiva, ma allo stesso tempo allucinogena, di King Krule, così come Perfecto Miserable indirizza l’album su toni più meditativi, fino a sfociare in Alone, Omen 3, una perfetta fusione fra soul psichedelico e ritmi angolari punk.

(Don’t Let the Dragon) Draag Out si muove su delicati ritmi soul, mentre il jazz sfocia nella raffinatezza di Underclass, pregna di una malinconia tutta intima e personale. Chiude Please Complete Thee, fra toni cupi e atmosfere oscure.

La breve durata dei brani, quasi tutti sotto i quattro minuti, permette al musicista inglese di creare delle piccole gemme in cui poter sperimentare ogni volta qualcosa di diverso. L’insieme di queste parti crea Man Alive!, l’ennesima grande prova di un artista che non deve più dimostrare nulla, conferma dopo conferma.

Ma più di ogni altra cosa, è da apprezzare la volontà di King Krule di non adagiarsi sugli allori e di continuare una ricerca musicale sofisticata ma in grado di arrivare a tanti: un dono raro.




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