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I diari di mio padre: la narrazione di un non detto, in un tempo non preciso, perso nei ricordi, come un diario che attende di essere letto.

No, non è un disco quello che ascolterete dopo aver letto questo articolo, o per lo meno non lo è in senso stretto. Ci troviamo dinanzi ad un racconto, una narrazione, o meglio dire l’accompagnamento di una narrazione, capace di separare l’anima dal corpo e di farci intraprendere un viaggio ultraterreno in ricordi non nostri.

I diari di mio padre è il nome del nuovo lavoro di Iosonouncane, ma è anche il nome di un documentario firmato da Ado Hasanovic, realizzato con l’intenzione di trasportare lo spettatore nell’agosto del 1993. In quell’estate, Bekir Hasanović (padre di Ado) si procura una videocamera, trasformandola nello strumento che gli permetterà di documentare la quotidianità a Srebrenica nei giorni cupi della guerra. Bekir cattura immagini che rivelano un ritratto inedito di una popolazione sospesa tra la disperazione e una sorprendente capacità di restare ancorata alla realtà.

Suo figlio, Ado Hasanovic, parte proprio da quei filmati – e dai diari scritti dallo stesso padre – per ricostruire la figura paterna e indagare come Bekir sia sopravvissuto alla Marcia della Morte e al genocidio di Srebrenica.

Il documentario ci accompagna nella storia di un padre e un figlio che non hanno mai potuto affrontare fino in fondo ciò che hanno vissuto. E forse, il documentario stesso è l’ultima risorsa di Ado Hasanovic, per poter fronteggiare quel trauma.

Iosonouncane è stato chiamato a realizzare la colonna sonora di questo documentario. Si tratta dunque del terzo lavoro della collana Il suono attraversato, dedicata alle musiche scritte negli ultimi anni da Jacopo Incani per cinema, teatro e sonorizzazioni.

Lavorare a I diari di mio padre non è stato semplice. Iosonouncane ha iniziato a lavorare alle musiche quando il montaggio del documentario era già stato completato: dunque era la musica a doversi completamente adattare al girato, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista tematico-sensoriale.

La buona riuscita del lavoro è stata resa possibile grazie a due fattori: il primo, l’incontro tra Incani e Ado Hasanovic a Bologna, dove per due giorni hanno avuto modo di conoscersi e poter parlare del film. Segno evidente che la commistione tra le arti avviene solo quando c’è dialogo e affinità mentale. Il secondo fattore è la capacità di Iosonouncane di rielaborare il passato e adattarlo alle proprie esigenze. La via musicale d’accesso al film è scaturita da alcuni campionamenti dal Requiem di Mozart, isolandone singoli passaggi armonici e rallentandoli a dismisura. In un secondo momento su questi campionamenti sono state composte stratificazioni armoniche di sintetizzatori finché, in un dato momento, si è pensato di tirare fuori dalla custodia una diamonica a bocca e di suonare di getto il tema del film, quello di Bekir e Srebrenica. Il passaggio successivo è stata la declinazione del tema su vari strumenti, per arrivare alla fase finale del lavoro dove sono state composte le musiche scena per scena.

Il risultato finale è di ottima fattura: un prodotto completo, carico di nostalgia, dolore, e malinconia. In quindici tracce, Iosonouncane è stato capace di descrivere un avvenimento crudele, doloroso, distante non solo nel tempo ma anche nello spazio, come se appartenesse ad un’altra dimensione. Il fruitore, che quasi sicuramente ascolterà solo una volta questo lavoro mastodontico, si sente come in volo, sospeso, mentre osserva le scende della vita di Bekir, i suoi ricordi, scorrere lentissimi davanti ai suoi occhi.
E non è pioggia quella che cade dal cielo, ma una lacrima che riga il viso di chi ascolta, e che lenta, come questa musica che dilata il tempo, scende giù.



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