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I’m Not A Blonde: l’altra faccia, quella alla luce, dopo il viaggio nella notte

Un automatismo che sono convinta appartenga a chi ascolta musica con tutti i sensi e in profondità: visualizzare, fin dal primo suono, un’immagine. This is light, il nuovo Ep del duo I’m Not A Blonde, uscito l’8 aprile per INRI/Metatron, dipinge un quadro primaverile in un campo aperto di colori pastello, brezza tiepida e profumata, un momento chiaro del giorno, in cui i colori sono warm e giusti per essere leggeri. L’Ep, realizzato con il sostegno di Italia Music Lab, segue e completa Welcome Shadows, uscito a dicembre 2021 ed insieme costituiscono il quarto album, “un raffinato progetto articolato sul dualismo fra ombra e luce, distopia e utopia”, del duo composto dalla milanese Camilla Benedini e dall’italoamericana Chiara Castello.

Ora I’m Not A Blonde si apre al giorno: tutto il disco è pervaso da un’atmosfera calda e umana, nonostante la componente elettronica sia caratterizzante. Warming e sensuale è My Best, il terzo dei cinque pezzi di un concept album che ha previsto il racconto dei due lati dell’uomo e del mondo, quello scuro e cupo, nato direttamente dalle profondità spaventose della pandemia, e quello rigenerato, chiaro e disteso di questo Ep.

Lo stile, in tutti i brani, è elegante; le sonorità di This is Light sono quelle electro-pop, chiare in Talk of Love, in cui la voce si adegua in botta e risposta al beat della melodia, in un ambiente disteso ma non senza ritmo, creato da cori ed arpeggi in sottofondo; bello anche l’assolo di chitarra, breve e chic a chiudere il brano insieme alle voci del duo, fuse in perfetta sincronia. L’orizzonte musicale in cui si inserisce il duo, è lo stesso che le ha viste protagoniste in diversi festival italiani e internazionali, quando hanno condiviso il palco con artisti del calibro di Duran Duran, Moderat, Soulwax, Peaches, Ghostpoet, Hurts e molti altri.

Ancora le chiare voci del duo intessute sul contrabbasso chiudono il disco, caratterizzato da un crescendo di originalità e sperimentazione, in un sound che non ha bisogno di troppo per strutturarsi, ma che si rende riconoscibile grazie alle voci e anche alla volontà di sperimentazione linguistica, fatta anche di inserti in italiano. Un’aria di festa, chiaramente espressa in un verso cantato appunto in italiano, apre e chiude il disco, a conferma di un’atmosfera che nasce, evolve e si completa.



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