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Nel flusso sonoro di Ich.Bin.Bob

Dietro il moniker di Ich.Bin.Bob si cela Bob Nowhere, musicista e performer già attivo nell’ensemble di improvvisazione dadaista Coop Rumore e nel trio di sonorizzazione cinematografica KyoKyoKyo. Il suo progetto solista è un mix di influenze, industrial, gabber, techno, noise e glitch, il tutto suonato fuori dagli schemi e in maniera sperimentale. Il 16 giugno è uscito il suo nuovo album Cronòtopo,  un’antologia musicale che indaga il concetto di ipertecnologia – la necessità dell’uomo contemporaneo di resistere all’interno di un flusso informativo ininterrotto, che lo trasporta in un isolamento uomo-macchina.

Innanzitutto qual è il percorso artistico di Ich.Bin.Bob e da dove nasce il tuo moniker.

Il nome del progetto, Ich.Bin.Bob, nasce dal nome del mio alter ego musicale: Bob Nowhere. Bob è uno dei nomi più comuni nella cultura anglosassone, un po’ il corrispettivo del nostro Mario Rossi. Mi affascinava l’idea di creare una musica che rispecchiasse il mio universo interiore, ma che qualunque ascoltatore potesse riconoscere come propria.

Per quanto riguarda il mio percorso artistico è piuttosto variegato. Provengo da un background jazzistico con la chitarra, strumento con il quale ho poi sperimentato vari generi tra cui math, noise e drone. Ormai da diversi anni mi sto invece dedicando alla musica elettronica, cercando di esplorarne quanti più orizzonti possibili. Oltre a Ich.Bin.Bob porto infatti avanti parallelamente altri progetti, tra i quali un ensemble di improvvisazione radicale.

Il cronotopo è definito da Bachtin “un tempo spazio”, ossia una forma di interconnessione artistica, attraverso la quale la letteratura si impadronisce dei singoli aspetti di un tempo e di uno spazio, storico o fantastico. Il tuo album si colloca più in uno spazio storico o fantascientifico? Pensi che rifletta bene il periodo che stiamo vivendo?

Credo che il mio album sia una sorta di distopia, un espediente per indagare il concetto di ipertecnologia. Il mondo occidentale nel quale vivo è governato da innovazioni volte a semplificare la quotidianità, ma che al tempo stesso erodono una parte della natura umana. Basti pensare ai devices, attraverso i quali costruiamo e modifichiamo le nostre abitudini e che ci costringono ad essere presenti in più universi nello stesso momento. Questo porta in qualche modo a frammentare la nostra identità e a offuscare la percezione della nostra dimensione spazio-temporale. I ritmi febbrili che creo tentano di rappresentare questa condizione esasperandola, tentano di descrivere una realtà che si è complessificata attraverso il mito della velocità.

Il concetto di cronotopo è diametralmente opposto alla visione della musica attuale, smart,e veloce e di facile consumo. Spesso non è in grado di raccontare o dire niente. Che ne pensi della situazione musicale attuale e soprattutto quanto è difficile raccontare senza l’ausilio delle parole attraverso la musica come nel caso dei tuoi dischi?

Penso che la musica sia uno specchio della società, un suo prodotto e al tempo stesso uno strumento per raccontarla. In una società in cui i contenuti scarseggiano la musica chiaramente riflette questa aridità, tuttavia secondo me la scena musicale attuale è piuttosto fervida. Uscendo dalla produzione musicale di massa ci si trova davanti a lavori veramente di alto livello, provenienti spesso da generi snobbati a causa dei molti pregiudizi o dalla necessità di ascoltare qualcosa di facilmente fruibile. Il rischio di non utilizzare le parole, di non avere un testo che accompagni i miei suoni, è un po’ questo, ci si scontra con una parte di pubblico che richiede un tipo di musica di facile consumo. Non utilizzare le parole è però il mio modo di esprimermi, per me è un linguaggio competo al quale non riesco a rinunciare e credo che fornendo una chiave di lettura l’ascoltatore possa comunque entrare nel mio mondo.

Come è nata la collaborazione con Laura Agnusdei?

Io e Laura siamo amici da anni e collaboriamo in diversi progetti,  facciamo parte ad esempio di un trio (KyoKyoKyo) che vede la partecipazione anche di Carlo Marrone e che si concentra sulla sonorizzazione di pellicole cinematografiche.

Cosa consigli a chi vuole avvicinarsi al mondo dei modulari? Qual è il primo passo da fare?

Personalmente mi sono addentrato nel mondo dei modulari dopo anni di studio sulla musica elettronica: ero arrivato ad un punto in cui avevo particolari necessità che non riuscivo a più soddisfare con i sintetizzatori che offriva il mercato. Il modulare a tutti gli effetti è un sintetizzatore che assembli come più si addice alle tue necessità, sei tu infatti che scegli l’oscillatore, il filtro, l’amplificatore, che cosa modula cos’altro e così via. Pertanto mi sento di consigliare, prima di approcciarsi a questo mondo, di capire bene quali siano le proprie necessità creative. Questo più che altro per non perdersi in grossi acquisti sbagliati che provocano solo frustrazione, visti anche i prezzi non proprio accessibili di questa nicchia di mercato.

Scegli tre album che hanno influenzato la tua musica e dacci una motivazione per la scelta.

Partirei con A Love Supreme di John Coltrane. Coltrane mi ha fatto comprendere che cosa significhi la dedizione per la musica, quanto per un musicista suonare sia al tempo stesso un bisogno fisiologico e una sorta di dovere quotidiano. Simultaneamente mi ha trasmesso l’importanza dell’ascolto, la conoscenza del panorama musicale per creare un proprio linguaggio. L’album è un capolavoro conclamato, ma fin dal primo ascolto mi ha affascinato la sua ripetitività ossessiva: tutta la suite gira attorno alle stesse quattro note, successivamente riprese anche dal sax e riproposte in tutte le altre tonalità. Un altro aspetto che mi ha colpito è il modo in cui nei live l’album si sviluppi in maniera differente, proprio perchè un elemento fondamentale per Coltrane è l’improvvisazione e l’universo emotivo del musicista nel momento in cui suona. Credo che questo aspetto abbia influito molto sul mio modo di fare musica, il fatto che il contesto e il proprio universo interiore sia in costante connessione con la musica prodotta.

Un altro caposaldo per me è Buchla Concerts di Suzanne Ciani. Nel mio immaginario è per eccellenza il disco minimalista nel linguaggio ma non nei contenuti, ogni volta che lo ascolto mi porta in un luogo diverso. È un disco che mostra una musica elettronica diversa da quella prettamente usa e getta di facile consumo. Suzanne Ciani è una delle poche donne ad aver raggiunto il successo nel campo della musica elettronica utilizzando i modulari. La sua storia mette in luce quanto per una donna sia difficile entrare in un modo prettamente maschile e sovvertire gli schemi esistenti nel mercato musicale.

Per finire, Animals di Not Waving. Alessio Natalizia è uno dei miei producer preferiti, non mi stanco mai di ascoltarlo. Riesce a raggiungere una complessità compositiva veramente invidiabile che tuttavia non ostacola la fruibilità dell’album. Ciò che mi conquista è che ogni pezzo viene completamente stravolto più volte in pochi minuti pur conservando una coerenza di fondo.

Ora invece dicci quale libro e quale meta per un viaggio potrebbe essere accompagnato dalle tracce di Cronòtopo.

Come libro sceglierei Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly) di Philip Dick, dove tra l’altro il protagonista si chiama proprio Bob. Il ritmo incalzante della narrazione e la schizofrenia prodotta dalla Sostanza M, che determina una progressiva separazione tra lato emotivo e lato razionale con il conseguente prevalere di quest’ultimo, penso che rappresentino abbastanza il concept del disco. Per quanto riguarda la meta mi è difficile accostare un luogo fisico a Cronòtopo, sfruttando anche il riferimento a Philip Dick penso che potrebbe accompagnare più un viaggio mentale, un flusso di pensieri sconnesso che inciampa nei collegamenti casuali prodotti dalle menti degli ascoltatori.

Leggi la recensione dell’album Cronòtopo QUI



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