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Piano Works di Hior Chronik è il diario musicale di un abbandono difficile; 16 suite per piano e violoncello intrise di nostalgia e memoria

Ancora una volta, gli operatori discografici di stanza nel Sol Levante dimostrano il loro interesse per un certo tipo di musica classica contemporanea di stampo europeo. Al suo terzo lavoro con l’etichetta nipponica KITCHEN.LABEL, Hior Chronik, musicista di origini greche trapiantatosi a Berlino, ripesca dal cassetto della memoria un periodo scarsamente illuminato della sua vita per trasformarlo in un album di 16 tracce che prende il nome (piuttosto coerente) di Piano Works.

Sebbene, da un punto di vista squisitamente musicale, l’album di Chronik non introduca idee particolarmente innovative, il contesto in cui è stato concepito gli conferisce tutta una serie di interessanti sfumature. Le melodie, per quanto garbate e affascinanti, sono talmente scarne ed essenziali da sembrare già sentite un’infinità di volte. Se ci fermiamo però a riflettere sul fatto che i Piano Works sono stati composti nel periodo in cui Chronik ha abbandonato Atene, la sua città natale, per trasferirsi in un luogo caotico e poco familiare come Berlino, riusciamo forse a sentire una maggiore connessione emotiva dell’artista.

Lo spaesamento nel ritrovarci in un contesto che, d’emblée, non ci appartiene, la distanza con le persone che ci circondano, la nostalgia canaglia; sono tutte sensazioni che molti tra noi hanno provato almeno una volta nella vita, sebbene in situazioni diverse. I brani, composti alla fine delle prime giornate dopo il trasferimento, fungono da testimonianza del pesante carico emotivo connesso alla scelta di trapiantarsi lontano dalla terra che ci ha nutrito; ecco che gli struggenti fraseggi tra violoncello e pianoforte, il velo di tristezza che avvolge le lente progressioni di note e la pesantezza delle pause fra le battute ci risultano d’un tratto molto più comprensibili. La storia dietro la musica diventa la storia dentro di essa, colmando la distanza che separa noi ascoltatori dall’artista. I brani che sembravano canonici assumono il valore della confessione e ci arrivano più diretti e benvenuti.

Il periodo raccontato in Piano Works risale al 2016, mentre l’album è stato pubblicato nel 2020. Questa circostanza sembra fornire una spiegazione valida ad un altro aspetto del disco di Chronik che non convince del tutto: che siano stati rispolverati dopo quattro anni o che siano stati rimaneggiati più volte in tutto questo tempo, i brani di Piano Works, per essere dei contenitori emotivi, appaiono eccessivamente ragionati, schematici, e in generale denotano scarsa spontaneità. Come a dire (volendo ripescare concetti di Canettiana memoria) che un diario scritto con l’intento originario di farlo leggere ad altri non è un diario onesto.

Non c’è dubbio che Piano Works sia, al netto delle sue contraddizioni e dei suoi difetti, un lavoro godibilissimo. Alcune tracce hanno, più di altre, la capacità di rimanere impresse nella memoria, come la galoppante Beyond Words o la crepuscolare When It All Comes Back To You. Il violoncello di Aaron Martin conferisce a molti di questi brani un tocco di colore e di personalità in più, impreziosendo un lavoro tutto sommato ben strutturato. Manca, forse, quella scintilla che renda tutto memorabile, il colpo di testa che prenda un lavoro perfettamente integrato nel proprio contesto di genere e lo separi da tutti gli altri.




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