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Overgrown, il documento della sua esperienza

Haint Blue è una band Americana Folk di Baltimora, composta da sette membri: Mike Cohn (voce + chitarra), Dave Sheir (voce + tastiera), Nellie Sorenson (voce + mandolino), Aaron Mirenzi  (voce + banjo), Victoria Grier (violino), Mark Strother  (basso) e Alex White (batteria).

Conosciuti per le loro armonie strette, melodie orecchiabili e testi emotivamente convincenti, sono diventati un appuntamento fisso nella scena musicale di Baltimora e hanno condiviso il palco con atti degni di nota come Billy Strings, la Big Damn Band di Reverendo Peyton e Charley Crockett. Recentemente sono stati selezionati da una breve lista di locali per suonare nel Festival Bluegrass di Charm City, vincitore dell’IBMA Award.[..] L’ultimo album ha anche un retroscena affascinante e straziante, ovvero racconta dieci anni tormentati della vita del frontman Mike Cohn in fuga assieme al suo migliore amico dalla fede fondamentalista dove sono cresciuti, e durante i quali ha lottato per uscire da una seria dipendenza dalla droga.

Overgrown è il documento della sua esperienza, il risultato di un decennio di introspezione, di perdita e recupero, dell’esistenza sia mondana che profonda con le quali l’amore e l’amicizia si manifestano nella vita di tutti i giorni.”

Dodici titoli, quasi capitoli d’una biografia per questo nuovo album della band americana di Baltimora, e sofferti a quanto si legge. Gli spunti cronologici davvero non mancano, tre brani sono intercalati e spaziati da altri ma armonicamente si collegano, perché il circolo della vita è sviluppo ma timidamente anche un ritorno.

A mani giunte il tema strofico di Another Year, il morbido blues apre l’album verso Sins Laid Bare, che è il suo naturale proseguimento, e così continua, di capitolo in capitolo, il percorso che aspira al racconto e sfoggia fermate di abilità come Mama, God volata scherzosa di banjo trepidante e contagioso e poi l’accattivante Wherever You Go, che chiude l’album, una fervida fotografia sonora di ambientazioni storiche e cinematografiche forse un po’ nostalgiche a citazione, per esser più chiari, di quell’indimenticabile film di John Landis The Blues Brothers.




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