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Down in the Valley: come far convivere tutti i suoni del mondo

Giacomo Pedicini è un compositore poliedrico, anormale, fuori dagli schemi per il modo di pensare e intendere la musica. Down in the Valley è il suo terzo disco solista, interamente arrangiato e suonato da lui con l’utilizzo di pochi, ma chiari, strumenti (basso, chitarre, batteria, synth) e l’inserimento di più colori sonori caratterizzato da beat, intrusioni meccaniche, noise.

Da un punto di vista prettamente tecnico Down in the Valley si presenta come un disco di sette brani che presi singolarmente possiedono al loro interno diverse anime a volte contrastanti a volte legate da un’armonia ben definita. Nel suo insieme, invece, il terzo lavoro di Pedicini è un coerente agglomerato di suoni, modulazioni e ritmi quadrati ma articolati su più livelli. Insomma: un palazzo costruito da appartamenti differenti con al loro interno una serie di stanze differenti tra loro. Ha un’armonia ben definita nella sua interezza, che nasconde al suo interno infinite particolarità e unicità da esplorare.

Guardando il disco dal lato concettuale, il lavoro di Giacomo Pedicini vuole essere un’investigazione sonora nella musica e nel suo modo di essere espressione globale non solo di sentimenti e valori, ma anche di mezzo deterministico dei bisogni della società. Contrastando l’idea di musica commerciale, che non è solo quella della cultura di massa, ma anche musica che serve al commercio, cioè a vendere e per vendere, Down in the valley si presenta come la possibilità, alternativa, di creare musica dal niente, praticando l’osservazione di ciò che c’è intorno a noi, artisticamente, musicalmente, sociologicamente.

Questo intento si traduce in una filosofia chiara: tutto nasce dal suono, l’essere umano piange appena nato e si identifica attraverso l’altro nell’istante in cui viene nominato attraverso il suono del proprio nome. Il mondo quindi è composto di suoni ed è allo stesso momento suono e strumento in ogni cosa che ci circonda. In questo senso non c’è più bisogno di distinguere i suoni, di fare distinzione tra note e strumenti: rumore e armonia possono convivere nello stesso momento, nello stesso brano, nello stesso disco proprio perché fanno parte dello stesso mondo, che è suono.
Con questa lunga premessa, all’interno dei brani di Down in the valley, sapientemente costruiti, troviamo eccessi sonori, caotici, rumori amelodici e cieche esplorazioni elettroniche. Il tutto si mescola in una danza rituale, in un calderone distopico tra ritmi selvaggi e synth che spezzano, schiacciano, allontanano, le imposizioni ingiuste della società.

Al di là della retorica e dalla necessità di trovare una spiegazione e un senso ai sette brani che compongono il disco, c’è da dire che ascoltare Down in the Valley è un momento di pura e semplice liberazione, una pausa dal razionale e dal conosciuto, un ponte per esplorare un lato del mondo, primordiale, selvaggio, rimasto a lungo nascosto ai nostri occhi e forse anche dentro di noi. In venticinque minuti Giacomo Pedicini è in grado di innestare, dritto allo stomaco, attraverso le orecchie e il cervello, una scarica di adrenalina che mette i brividi, aumenta il battito cardiaco, fa venire voglia di muoversi, ballare, ribellarsi.



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