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Ghost Tapes #10: elogio alla compattezza

Nella loro (quasi) ventennale carriera i God Is an Astronaut hanno contribuito all’evoluzione e alla codificazione del post-rock del nuovo millennio, in primis con i picchi iniziali rappresentati da All Is Violent, All Is Bright (2005) e poi con una ricerca stilistica che li ha portati fino a Epitaph (2018), probabilmente l’album più ambient e cupo del gruppo.

Tre anni dopo quelle sonorità sono state in parte lasciate fuori nel decimo album, Ghost Tapes #10, in uscita il 12 febbraio 2021 per Napalm Records. Infatti, pur non abbandonando una ricerca melodica mirata ad emozionare, sin dal primo ascolto l’ultima fatica degli irlandesi sembra rivestito di una durezza e di una scorza inedita, ed è stato presentato come “il lavoro più feroce che abbiano mai fatto”.

Una definizione forse non completamente corretta, ma sicuramente le sonorità sono decisamente più compatte e pesanti rispetto alle uscite precedenti, e in quest’ottica l’apripista Adrift fa da esempio: nonostante un finale sereno ed etereo, l’intero pezzo è pervaso da un evidente slancio ai confini del post-metal, complici riff monolitici e una sezione ritmica serrata.

La struttura generale dei brani segue costantemente questa dicotomia fra tensione costante ed improvvisa calma ed è per questo che i momenti migliori dell’album vanno ricercati nelle piccole epifanie presenti di pezzo in pezzo: il basso angolare di Burial, i synth oscuri quasi dungeon di In Flux, i riff granitici di Spectres.

La seconda parte dell’album rilassa lievemente l’atmosfera, concentrandosi in un sound più riflessivo, il cui picco è rappresentato dalla conclusiva Luminous Waves, arricchita da un prezioso violoncello.

Di Ghost Tapes #10 non colpisce sicuramente l’originalità, e sarebbe stato strano il contrario, anche se forse una varietà maggiore fra i brani avrebbe reso l’ascolto più scorrevole, pur perdendo una notevole compattezza di base.

Nonostante ciò si tratta comunque di un lavoro positivo, ed anzi probabilmente uno dei migliori del gruppo irlandese prendendo in considerazione gli ultimi 10 anni di produzione: oltre ad una spiccata coerenza stilistica, è apprezzabile sia il ritorno ad un sound più grintoso sia la capacità di mantenere costante la tensione nei sette brani dell’album.

Lasciando da parte inutili nostalgie sui fasti del passato, ai God Is an Astronaut va dato il merito di perseguire una strada precisa e lineare da vent’anni e Ghost Tapes #10 ne è l’ennesima prova.




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