Disagreements Vol. 1, uno splendido, lungo viaggio nella musica contemporanea
Probabilmente, quanto di più disarmonico potrete ascoltare quest’anno; allo stesso tempo, quanto basta per potere iniziare uno splendido, lungo viaggio nella musica contemporanea. Disagreements Vol. 1 ci prende, ci strattona e ci catapulta in una dimensione di frenetica ricerca e speculazione sonora, in cui lentamente ci adagiamo nel dialogo triadico dei tre musicisti, amici, colleghi e concittadini di Salt Lake City, nello Utah: Michael Fuchs, Chaz Prymek e Nic Rose.
Il primo, poliedrico artista, è musicista, produttore, designer e appassionato di giochi da tavolo; già attivo con lo pseudonimo di Passive Tourist, la sua batteria fa da campo da gioco, quadrante di spazio, suoni e dinamiche. Chaz Prymek, meglio conosciuto per il suo lavoro sotto lo pseudonimo di Lake Mary e per la sua partecipazione al progetto ambient-jazz Fuubutsushi, è un prolifico chitarrista-improvvisatore di impianto folk e jazz. Nic Rose è un free-piano player; il suo suono, quadrato, granulare e polveroso, è la farina di quest’impasto sonoro.
L’ambiente musicale di Disagreements Vol. 1 è dominato da un sistema tripartito, in cui le coincidenze dei tre binari sono poche. I musicisti, nello stare (apparentemente) lontano, giocano di sguardi, si lanciano segnali, alle volte si toccano; quando lo fanno, è solo per un fugace attimo, una coincidenza. Le composizioni, tutte eccedenti i dieci minuti di ascolto, non hanno struttura, non hanno campo armonico, non hanno temi melodici: sono sviluppo, evoluzione e continua trasformazione.
Cold in blue hands da lo slancio al disco. Una successione di distorti accordi simmetrici di Rose squarcia il silenzio; la spia del master è già “a rosso”. Ascoltando, ci chiediamo: è così importante avere un posto in cui andare? Non è forse più importante la dimensione dello “stare”? Se lasciamo spazio a questa seconda opzione, si apre uno scenario in cui è la dimensione verticale a prevalere e, con essa, la spasmodica esigenza di passare dal “dove andare” al “come stare”; dal luogo (non necessariamente fisico) al modo. Il fluire lascia spazio all’essere, si è fermi e ci si muove in sé stessi.
La batteria di Michael Fuchs disegna un campo nel quale gli attori del gioco possono scambiarsi battute in forma libera, senza restrizioni, come in una rap battle in free-style. La chitarra di Chaz Prymek, spigolosa e autentica, impatta con frequenti dissonanze tessendo una tela di linee melodiche che irrompono decise.
Test footage è il secondo pezzo. Una fotografia dell’istante in cui si incontra uno sconosciuto, si entra in un ristorante mai visto prima o si inizia a leggere un libro per la prima volta. Quando ci troviamo in queste situazioni, i nostri sforzi sono focalizzati a definire il contesto, riconoscervisi dentro e riconoscere l’altro. I tre cercano di allinearsi, di trovare un linguaggio comune. Lo fanno proprio per iniziare a partire. Ma il punto non è il viaggio o la destinazione, quanto negoziare le motivazioni del viaggio, il mezzo da utilizzare o la destinazione. In musica (in ordine sparso): la tonalità, lo stile, il ritmo, la velocità, la struttura. Test footage mostra cosa avviene in questo processo: la negoziazione è intervallata da attimi di apparente armonia (non solo musicale in senso stretto), in cui sembra che i tre abbiano trovato un accordo, un disegno comune. Accordi e disaccordi, consonanze e dissonanze, in cui sono proprio queste ultime rappresentano l’unico elemento in grado di discriminare l’ordine dal caos.
Le frasi della chitarra di Prymek sono appena pronunciate; timide, suggeriscono un accordo (degli accordi). La tastiera di Rose sembra trovarlo a 2:14. È questo il segnale che inaugura un cambio di rotta. I 3, finalmente riuniti, si scambiano intenti. Fino all’intervento prodigioso della chitarra, che imperversa con una melodia seriale. Un moto concentrico infinito, che arriva fino al profondo, dove altre sintonie nascono. Il cerchio si chiude. Il tempo si dilata. Lo spazio si appiattisce. E la musica, pian piano, finisce.
In Not verb, but vertigo, Chaz Prymek ci avvolge in un vortice di suono, mentre il suono piramidale e continuo di Michael Fuchs ci accompagna a seguire la scia, talvolta interrotta dai grappoli di suono di Nic Rose, con un Rhodes sound che strizza l’occhio al jazz.
I suoni sono sempre tre ma in Stucco house development diventano improvvisamente. Più o meno al minuto 8:00, esattamente a metà brano, Rose stabilisce un suono che squarcia il missaggio, imponendosi. Per l’effetto, la chitarra di Prymek si setta su un pedale acuto di due note, mentre la batteria di Fuchs si mette al riparo, gorgogliando frasi sommesse.
In Disagreements Vol. 1, gli elementi dell’armonia, della melodia e del ritmo vengono manipolati non nell’ottica di seguire un progetto predefinito, ma con il reciproco intento-impulso di definire la propria identità in un preciso momento. Lo spazio dinamico varia insieme al timbro e alla velocità in relazione agli stadi di questa evoluzione. I tre sono entità in trasformazione altamente suscettibili al cambiamento, in costante inter-relazione; materia calda, che si unisce senza fondersi, sempre pronta a rispondersi. Il risultato è un flusso continuo di azione-reazione, causa-effetto.
Disagreements Vol. 1 è arricchito dalla presenza di una performance live, spazio in cui l’espressione creativa del trio trova la sua massima forma. In Leaving the turtle’s navel possiamo notare (o comunque dobbiamo supporre, e tanto basta) che l’ambiente live con tutti i suoi elementi (l’acustica del luogo, il feedback del pubblico, finanche la materialità del palco) giochino una propria parte nella creazione. La maggiore durata del pezzo e la varietà dei movimenti tanto ci suggeriscono.
Disagreements Vol. 1 ci mette a confronto con il nostro passato, ci fa chiedere da dove veniamo, ci offre un interrogativo continuo a cui dobbiamo reagire, dando una risposta. Ma non è facile trovarla, in questa confusione. Allora dobbiamo scegliere. Urge scegliere; e scegliersi.