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Francesco Di Cristofaro, tra innovazione e tradizione

Con alle spalle una lunga lista di collaborazioni con nomi illustri del panorama musicale nazionale e internazionale come  ‘E Zezi, Lino Cannavacciulo e Moni Ovadia solo per citarne alcuni, Francesco Di Cristofaro è una figura di rilievo nell’ambito della musicologia comparata.

Le sue esperienze e i suoi studi hanno portato l’artista campano ad approfondire l’interazione tra gli strumenti tradizionali e i linguaggi elettroacustici e minimalisti, volgendo la sua ricerca sonora verso nuovi linguaggi.

Ogni esperienza passata è un tassello che il polistrumentista casertano ha messo insieme per formare un mosaico sonoro chiamato Speira. Il nuovo album, rilasciato il 23 ottobre 2021 per Liburia Records, etichetta fondata nel 2019 dallo stesso Di Cristofaro, è un mix di elettroacustica e drone music sviluppato attraverso cinque tracce realizzate fondendo strumenti tradizionali cinesi, indiani ed armeni con l’elettronica. Il risultato è dato da lunghe tessiture microtonali e parti cicliche che legano insieme tutti i tasselli per formareun’unica grande composizione.

L’album si apre con 0.0, un sibilo oscuro creato modulando dei droniche imperterrito scorre per tutta la durata del brano aumentando lentamente d’intensità a cui si aggiungono lungo il percorso strumenti a fiato rielaborati. Di Cristofaro ottiene così una traccia spettrale, un rituale scandito dal suono della drone-music capace di fagocitare le ricerche nel campo della musica tradizionale. È con il suono delle corde pizzicate dal plettro al quale si aggiunge un tappeto elettronico che si apre la seconda traccia, 0.I. Una nenia in cui gli strumenti acustici muovono un flusso inquieto e tenebroso.

Il suono della fisarmonica scandisce il lento scorrere di 0.III: il quarto brano si divide in tre fasi, nella prima i feedback creano una coltre ambientale, una coperta calda e sinuosa tirata via dalla fisarmonica sulla quale si accendono i riflettori nella parte centrale. Un crescendo impetuoso d’improvvisazione apre la strada alla coda del brano, una summa di fieldrecordings con la quale il nostro mostra il lato più “sacro” della sua musica.

L’album è un ottimo lavoro capace di ridisegnare i confini di una ricerca sonora che guarda al passato per scoprire il futuro.




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