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The See Within non è un’opera come le altre. È un’esperienza di ascolto ai limiti dell’ultraterreno, un miscuglio sapiente di raffinatezza compositiva ed eccellenza tecnica

Se il nostro universo interiore potesse tradursi in musica, chissà come suonerebbe. L’Echo Collective, per la sua prima opera originale, ha scelto di guardarsi dentro per estrarre la materia grezza necessaria a mettere a frutto anni di collaborazioni e di preparazione tecnica. The See Within è la prima, significativa tappa discografica di un percorso che ha visto Margaret Hermant e Neil Leiter, i fondatori del collettivo, forgiarsi una reputazione adamantina nel mondo della neo-classica, tramite una sapiente miscela di featuring e collaborazioni con artisti del calibro di A Winged Victory for The Sullen e il compianto Jóhann Jóhannsson.

Due sono gli elementi che distinguono The See Within da molti altri album neo-classici contemporanei. Il primo è la quasi totale assenza di post-produzione che rende le tracce veramente acustiche, artigianali e naturali. Il secondo è l’utilizzo estensivo del geniale MRP (Magnetic Resonator Piano), un “pianoforte+” inventato da Andrew McPherson, dotato di elettromagneti che sollecitano direttamente le corde del pianoforte, generando vibrazioni, crescendo, armoniche e riverberi senza la necessità di amplificazione esterna. A suonarlo, il terzo membro mobile del collettivo, il talentuoso Gary De Cart, al quale verrà dato, per l’occasione, un ruolo di primissimo piano. Già prima dell’ascolto, il collettivo ci annuncia che The See Within non sarà un ascolto come un altro.

Sin dalle prime note di Inflection Point si è portati ad accettare l’idea che questo è un album dai colori decisamente freddi: gli archi ispirati spazzano un panorama innevato con gelidi venti invernali, creando movimento in un paesaggio altrimenti immobile. Lunghe note sostenute si tuffano le une nelle altre, in un crescendo emotivamente impegnativo che ci trascina vigorosamente verso la title track. Un’arpa delicata descrive ipnotici giochi di luce sulla superficie del ghiaccio sul quale camminiamo, guidati dai guizzi del violino e dai bassi riverberi di un violoncello vibrante di vita propria. È una passeggiata in un mondo fuori dal mondo.

Sebbene l’intero disco sia costruito intorno alle straordinarie capacità dell’MRP, From Last Night’s Rain è il primo vero showreel per questo strumento capace di creare melodie aliene, di indurre dal silenzio la vibrazione delle corde del pianoforte e di riprodurre sonorità proprie dell’organo, della tastiera e della consolle elettronica. Dal buio che si crea tra una progressione di note e un’altra esplodono vibrati e bending che sciolgono le soluzioni di continuità, creando un’unica, fluida ballata.

Volendo evidenziare alcuni tra i momenti più significativi di questo album tecnicamente impeccabile, una menzione d’onore va ad Unknown Gates, elegante passo a due fra una fiabesca arpa e un MRP particolarmente evocativo. È un po’ come entrare in una caverna ghiacciata, con il soffitto ricoperto di stalattiti gocciolanti, il cui incessante stillicidio viene coordinato dall’aggraziato sgambettare delle cordie; verso la metà del brano, l’MRP si fa più prepotente, evocando il funesto rintocco di una campana che riverbera minacciosa sulle pareti della caverna, tornando alle nostre orecchie cento volte ancora. Vi è poi Respire, primo brano per lunghezza e ricercatezza del suono, in cui i tre artisti del collettivo danno sfoggio di tremenda ispirazione.

The See Within, come promesso, non è un’opera come le altre. È un’esperienza di ascolto ai limiti dell’ultraterreno, un miscuglio sapiente di raffinatezza compositiva ed eccellenza tecnica, impreziosito dall’utilizzo di uno strumento dalle impressionanti capacità sonore. È strano pensare che The See Whitin sia, tecnicamente, un album di debutto; dalla maturità artistica che traspare, nel lento scorrere dei suoi 8 brani, si direbbe quasi che i membri dell’Echo Collective abbiano suonato insieme da sempre.




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