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Milkteeth: l’inno alla libertà di Douglas Dare

Nel 2014 il suo debutto Whelm aveva attirato l’attenzione del pubblico con un sound a metà fra Art pop e Chamber pop, arricchito da musica classica e minimalismo, fra riflessioni sociali e personali.

Poi, nel 2016, con Aforger, si mette ancora di più in risalto la sua vena Art, lasciando defilate le altre influenze.

Oggi, quattro anni dopo, il percorso di Douglas Dare prosegue con Milkteeth, in uscita il 21 febbraio 2020 per Erased Tapes, il lavoro della definitiva maturità personale, alla ricerca di quella artistica. Sin dal primo ascolto, è evidente come il suo ultimo album sia anche quello più legato al cantautorato nel senso più puro del termine: il suo stile elegante e minimale si intreccia ad un sound più tradizionale e, forse, ancora più intimo.

Dare sta bene con sé stesso, e con Milkteeth, partorito in meno di due settimane, ha finalmente ritrovato la propria identità più pura, da bambino. Si sente finalmente libero: e a questo proposito il primo brano non poteva che essere il manifesto I Am Free, un inno di malinconica serenità, in cui la sua voce calda si lascia trasportare da un piano raffinato e volutamente cadenzato.

Sprigiona infanzia e innocenza da tutti i pori anche l’intro di Red Arrows, una sorta di filastrocca che lascia il passaggio alla maturità nella successiva Heavenly Bodies, che con un fine arpeggio accompagna il musicista inglese nell’introduzione di un tema portante dell’album: la diversità e la forza del sentirsi slegati dagli stereotipi della società.

Se negli album precedenti il piano era stato lo strumento preponderante, adesso Dare introduce, oltre alla chitarra, l’autoharp, con cui compone il singolo Silly Games, un pezzo pop delicato e allo stesso tempo rarefatto, che sfocia nelle battute finali in un vero e proprio sogno.

Milkteeth è probabilmente il miglior album di Douglas Dare, che trasmette nella sua musica tutta la sua sicurezza nell’essersi ritrovato, e regala all’ascoltatore perle come The Joy in Sarah’s Eyes, una perfetta ballata folk.

Purtroppo, una seconda parte non all’altezza della prima, praticamente impeccabile, non permette all’album di essere memorabile, complice qualche momento di noia che sale con il passare dei minuti. Rimane comunque un lavoro fine e raffinato, che mostra Douglas Dare in forma smagliante, sulla strada giusta per piazzare un colpo da 90.




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