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Winter Session: la stagione più fredda dell’anno

La stagione più fredda dell’anno è quella descritta nel secondo album all’attivo di Diego Potron, nostrano emergente bluesman salito ed acclamato sui palchi di tutta Europa per il suo progetto One Man Band di due anni fa; Winter Session è il titolo di questo nuovo album, uscito il 5 novembre scorso per Ammonia Records, 9 brani dove l’autore si misura con una vocalità narrante ed intima, che si modella e si trasforma fino ad attingere per affinità tematiche, dalle estreme sonorità dark.

Orecchi tesi per Blind Sisters’ Home, primo brano forgiato su voce e chitarra, diretto ad insinuare una narrazione parlata più che cantata, soffice l’arpeggio di chitarra sotto il sapiente tocco di Potron, il raddoppio vocale suggerisce lontananza di intenti e timide nostalgie, l’amore descritto come tenera questione.

Gli episodi del cuore transitano dentro Saint Mary, totalmente strumentale questa scrittura per chitarra elettrica; dall’assolo iniziale si intuisce lo scorrere armonico del brano, aperte praterie vento e velocità sono le immagini sonore che scorrono attraverso accordi distesi e rinforzati nel ritmo e nell’intensità, fino a convergere tenui dentro l’arpeggio di un girotondo tonale sfumato.

CarnHate muove il racconto d’un sentimento che scivola e s’appoggia alla consapevolezza malinconica del testo, le strofe viaggiano leggere in cerca di una posa ma il ritmo incalza, un epilogo in sospensione armonica ci aspetta. La batteria fa la sua comparsa in Detour, il piccolo minutaggio per un’orecchiabile melodia, cantata solo dagli strumenti, è un intermezzo, una prodiga palestra per esercitare ed indurre nuovi percorsi di fantasia. Maestria di tocco e armonia per chitarra e leggero clap adornano Song for Willy Bungler, la narrazione biografica che indugia equilibrio su elementi rievocativi di un trascorso non molto lontano; la voce di Potron abile nel rappresentare l’elemento casuale e ordinario di quel gioco delle parti dove si annida lo straordinario.

Blue emana senso introspettivo, una piacevole discesa e forse ascesa al cuore delle emozioni, sussurri di chitarra sostengono strofe confidenziali, intima ballata rivelatrice d’un significativo tratto di vita. Al ritmo tropicale si aggancia il basso caldo ed intenso di poor boy, in battere anche la chitarra elettrica per una partenza d’insieme quasi ancestrale, voce netta, per una direzione nettamente rock.

Il bel basso percussivo e insistente sulla tonica di The hole on the heart of the Sun è il piedistallo d’un potente assolo di chitarra elettrica, testo a mo’ di messaggio da conservare per i posteri che preannuncia l’ultimo brano, Death comes to your home; con il ritorno delle sonorità esplorate, è il velato congedo che volge alla chiusa, come ciclo vitale qui rappresentato in musica.




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