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The Indestructibility Of The Already Felled di Dakota Suite e Quentin Sirjacq è come un fiore di ciliegio: bello, fragile, passeggero

Hanami è un’usanza molto sentita in Giappone, praticata da oltre un millennio e che mobilita ogni anno milioni di giapponesi. Consiste nella contemplazione della fioritura dei sakura, i ciliegi che sono da sempre un simbolo importante della cultura nipponica e che figurano stabilmente nel nostro immaginario collettivo quando pensiamo al Sol Levante. Hanami è un esercizio di partecipazione emotiva verso la bellezza della natura, una riflessione profonda sull’impermanenza delle cose e sul fascino inesorabile della rinascita. I giapponesi non hanno certo il monopolio della coltivazione del pensiero astratto, ma è pur vero che siamo di fronte ad un popolo la cui cultura è fortemente incline alla ritualità e all’introspezione, e hanami ne è un esempio lampante.

Sul finire di Gennaio, la Schole Records (che non a caso è un’etichetta giapponese) ha pubblicato un disco che sembra intriso di questa anima contemplativa: The Indestructibility Of The Already Felled, un album firmato da Dakota Suite, al secolo Chris Hooson, e dal pianista e compositore Quentin Sirjacq. Il disco è stato registrato a Yokohama e contiene tutto l’amore dei due musicisti per il Giappone e per la complessità del pensiero nipponico.

I titoli di alcuni brani richiamano concetti piuttosto complessi della filosofia, dell’estetica e in generale della cultura giapponese, come l’ormai celebre kintsugi, la pratica di riparare gli oggetti in ceramica usando metalli nobili come l’oro o l’argento affinché dall’anomalia della ferita possa nascere una nuova perfezione. Lo stesso titolo del disco è un omaggio all’arte del kintsugi e alla sua capacità di valorizzare lo sbaglio, l’imperfezione.

Da queste premesse non poteva nascere che un disco fortemente votato alla quiete e alla riflessione. I brani sono leggeri ed essenziali, come pezzi di legno privati della corteccia e lavorati con cura da una mano sapiente. Dovreste immaginare Hooson e Sirjacq come due artigiani dall’aria assorta, racchiusi nella solennità del loro lavoro, mentre estraggono con pazienza dall’aria brani fragili come porcellana. Quando i due stendono ad asciugare le loro melodie umide di rugiada lo fanno senza fretta, dilatando i tempi che intercorrono fra i suoni, prolungando i riverberi, centellinando le note. Il risultato è un’atmosfera candida, vagamente onirica, sospesa tra la pacatezza della natura e il tepore dello studio di registrazione.

Il piano di Sirjacq, in alcuni passaggi (come in kintsugi), volteggia fra crescendo melodici che sembrano descrivere il sorgere e il calare del sole; in altri (come in kyōshū) è cadenzato e scrupoloso, come le gocce d’acqua che cadono dai rami degli alberi. La voce di Dakota Suite si inserisce in alcuni brani con grande garbo e umiltà, impreziosendo le delicate linee melodiche al pianoforte. Sono, però, le tracce strumentali, tutte titolate in giapponese, il vero gioiello del disco; evocative di paesaggi sereni e di memorie di viaggi in terre lontane, introducono con disinvoltura suoni di legno e tintinnii di campanelle, come se fossero spaccati di rituali sacri ed esotici.

The Indestructibility Of The Already Felled è come un albero di ciliegio: i suoi brani sbocciano nel tiepido sole della primavera, sono tanto belli quanto fragili ed ispirano una certa solennità. Il loro più grande pregio è anche la loro più grande debolezza; sono talmente essenziali, talmente leggeri che un soffio di vento li porta via, lasciando al termine dell’ascolto solo rami spogli e qualche piacevole ricordo. Dakota Suite e Quentin Sirjacq non riescono a lasciare un segno indelebile e permanente su chi gli concede del tempo, ma sarebbe anacronistico il contrario. Un album così intriso di cultura nipponica non può che essere impermanente, passeggero, di modo che, quando sarà passato, avrà lasciato il posto per la nascita di nuova, fragile bellezza.




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