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Gli Algiers consolidano il proprio mix di black music, post punk ed elettronica

Correva l’anno 2015 quando gli Algiers, da Atlanta, si presentavano al grande pubblico spiazzando un po’ tutti con questa – insospettabilmente equilibrata – combo fatta di liriche black, tra il gospel e il rhythm’n’blues, purissime anche nelle tematiche, che il carismatico frontman Franklin James Fisher sparava dritte in faccia, accompagnate da un’elettronica tesissima, dark, post punk, industrial. Da allora un continuo crescendo, oltre che arricchimento del setup, per quella che è ormai diventata una delle band imprescindibili di questo decennio e che non sembra aver alcuna intenzione di rallentare.

Un crescendo che porta i nostri a questo There Is No Year, terzo album, fuori per Matador Records e anticipato da una serie di videoclip che, unitamente alle grafiche, evidenziano i testi di Fisher, come di consueto fortemente intrisi di quella rabbia fatta di autodeterminazione, anticapitalismo e antirazzismo, ma anche talvolta più intimi, oltre che il forte impatto teatrale degli stessi.

Crescita che è principalmente nella cura del sound, della presentazione, dell’impatto visivo e stilistico, ma con una formula compositiva che rimane pressoché immutata e non si concede particolari rivoluzioni. Il risultato è un disco ai limiti della perfezione, come lo sarà, ne siamo certi, anche il live set, ma da cui abbiamo già un’idea piuttosto nitida di cosa attenderci. Perfetta fotografia di quanto detto è l’opera di ricerca del batterista Matt Tong che, se nei Bloc Party avevamo apprezzato per la fantasia nelle figure compositive, quasi sempre stracariche e nevrotiche, qui si fa essenziale, mai una nota fuori posto e forte di un mix di suoni elettronici e analogici calcolati e pesati in maniera quasi ossessiva.

La title track, con il suo groove punk, entra dritta come una coltellata, mentre la successiva Dispossession è subito un singolone soul. Il disco va avanti lungo le 11 tracce alternando, come di consueto, pezzi più tirati ad altri più intimi, ma sempre mantenendo alto il livello di tensione e cupezza, mood nel quale si inseriscono sperimentazioni sonore sempre estremamente ponderate e mai fuori dalle righe. La chiusura è affidata a Void, brano dalla violenza addirittura hardcore, che tuttavia sfuma sul finale, lasciando alle voci il compito di orchestrare l’uscita di scena.

Un disco dunque che consolida le intenzioni e le ambizioni degli Algiers, che sono ormai un treno che viaggia a 300 all’ora col pilota automatico, ma lungo un percorso tracciato su binari sicuri e che non prevede, al momento, deviazioni verso territori inesplorati. Sarà interessante scoprire se le prossime uscite prevederanno anche evoluzioni stilistiche e compositive, ma per ora è tempo di lasciare spazio alle presentazioni live di questo There Is No Year, che porteranno la band anche al Monk di Roma e all’Ohibò di Milano, rispettivamente i prossimi 26 e 27 febbraio.




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