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Over The White Phantoms, di Al Vomano, è un po’ come la luna a cui è dedicato: affascinante e languido, familiare e misterioso

Più pigra, questa sera, sta sognando la luna:

bellezza che su un mucchio di cuscini,

lieve e distratta, prima di dormire

accarezza il contorno dei suoi seni,

 

sulla serica schiena delle molli valanghe,

morente, s’abbandona a deliqui infiniti,

e volge gli occhi là dove bianche visioni

salgono nell’azzurro come fiori.

 

Quando su questa terra, nel suo pigro languore,

lascia che giù furtiva una lacrima fili,

un poeta adorante e al sonno ostile

 

nella mano raccoglie quell’umido pallore

dai riflessi iridati d’opale, e lo nasconde

lontano dagli occhi del sole, nel suo cuore.

 Baudelaire, “Tristesses de la lune”, in “Les Fleurs du Mal”, traduzione di Giovanni Raboni,

La notte, si sa, è degli artisti, ed è forse per questo che i processi creativi, come le maree, vengono spesso influenzati dalla presenza della luna. Lo sapeva bene Baudelaire, autore della poesia che avete letto poco sopra, e lo sa anche Al Vomano, artista ormai londinese e ormai affermato, che nello scegliere il titolo del suo ultimo lavoro Over The White Phantoms si è ispirato proprio al poeta francese e alla sua mesta ode alla luna.

In realtà tutto l’album è dedicato al pallido satellite e alla sua capacità di smuovere la nostra immaginazione; curioso, poi, che ogni traccia abbia la parola “Sea” nel titolo (tranne una che contiene, invece, la parola “Ocean”). Si tratta, probabilmente, di un riferimento alla marea, e al rapporto ancestrale che lega la luna ai capricci del mare.

La traccia di apertura, Serpent Sea, introduce la scena con l’infausto lamento di un organo. È come se Vomano aprisse il sipario sullo spettacolo della languida luna di Baudelaire, sospesa su un mare appena mosso dai movimenti sinuosi della sua musica. Poche note prolungate accompagnano il brano verso la svolta ambient a metà brano e i suoi suoni spezzati, frammentari come le increspature sulla superficie dell’acqua. Immaginate una barca ferma in mezzo alle acque scure, e su questa barca, immobile e in contemplazione, un uomo.

Sea of Crises è come un’ispirazione, un lampo che colpisce fulmineo l’immaginazione dell’uomo sulla barca. Da lì, un turbinio di pensieri, il martellare di un synth ossessivo che cambia posizione continuamente, come un’idea che è lì, quasi pronta per essere raccolta, ma sfugge continuamente all’artista che cerca di afferrarla e definirla. Solo sul tramonto del prezzo si affaccia una promessa di serenità; che l’idea sia stata raccolta o che sia definitivamente sfuggita, il brano sfuma nel sereno.

In Ocean of Storms si alza la marea, le acque si agitano sotto i capricci di una luna volubile che si nasconde dietro nubi grigie. Un vento sferzante trasporta la pioggia su traiettorie diagonali, la barca beccheggia, ma l’uomo affronta tutto questo con coraggio; Vomano descrive agitazione, non paura, e lo fa con suoni artificiali precisi e calcolati. Sea of Nectar è la quiete dopo la tempesta: si torna nell’ambient, le nubi si diradano, la luna fa di nuovo capolino per offrire all’uomo sulla barca il suo sguardo lezioso. Si ode perfino una voce di donna, che sembra provenire dagli altoparlanti di una vecchia radio di bordo, mentre scandisce numeri privi di contesto.

Sea of Vapors, il brano più corto del disco, si comporta quasi come un interludio, fatto di ronzii e droni che dovrebbero oscurare la scena e traghettare il disco nella sua seconda e ultima fase. Il trittico di coda ha un che di mistico e imperscrutabile. È come entrare in un altro mondo, molto simile al nostro se non per qualche dettaglio vagamente fuori posto: una sfumatura di colore, un rumore di fondo, una luce nella coda dell’occhio. Non a caso l’intero disco è dedicato alla luna e al modo in cui essa influenza l’immaginazione e la creatività; nell’ascoltare lo sciabordio degli ultimi tre mari di Over the White Phantoms si prova quella sensazione di familiarità e allo stesso tempo di fascino e curiosità che solo l’osservazione prolungata del nostro pallido satellite è in grado di trasmettere.

In Over The White Phantoms c’è un po’ della solennità di Zeit, un po’ della discrezione dei primi lavori di Eno, c’è la sperimentazione rumoristica tanto cara all’elettronica moderna, e poi c’è qualcos’altro; qualcosa di inspiegabile, un guizzo, un’ispirazione indecifrabile che rende l’opera diversa da tutto il resto. Familiarità e mistero. Un po’ come la luna.




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