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Forever Blue: un album che non passa inosservato

Quando il talento è cristallino bastano due note per far accapponare la pelle e con la voce piena di sfumature A.A. Williams ci seduce con il fascino dell’oscurità di Forever Blue, il suo debut album pubblicato il 3 luglio 2020 per Bella Union.

La musicista londinese, all’anagrafe Alex Williams, pianista di formazione classica, violoncellista e chitarrista, propone un mix estatico di post-rock e cantautorato con influenze metal e classiche, atmosfere distese si alternano a momenti tirati e funerei. Ma quello che colpiscono di più nei quaranta minuti del disco sono la voce e i testi della Williams in grado di trasmettere dolore, tristezza, parlare di vita e di morte, riuscendo sempre a trasmettere i sentimenti più nascosti e strazianti della psiche.

Apre il disco All I Asked For (Was To End It All), la voce è profonda e intesa, sorretta dalle sinuose note del piano e del violoncello. “I could see it all/I could not be wrong” canta Alex, uno spiraglio di luce in un traccia cupa come la notte, a metà strada tra Aldous Harding e i Katatonia. Con la successiva Melt la Williams “si rivolge alla ricerca, al riconoscimento e all’accettazione dell’indipendenza di un individuo. Dopo aver solo creduto nella propria fragilità, si rendono conto che non dipendono mai dagli altri, gli altri dipendono da loro. All’interno di questa nuova forza trovano conforto”. Un brano che vive di contrasti, come l’intero disco d’altronde. Un ritornello soave e arioso si oppone alle chitarre al vetriolo di matrice post rock, taglienti e avvolgenti.

Affiancata dalla voce baritona di Tom Fleming (One True Pairing, ex-Wild Beasts), Dirt è una delle canzoni più struggenti dell’album. L’intensità che riesce a toccare la Williams, solo voce e chitarra, è qualcosa di straordinario, un vortice di emozioni che crescono al crescere delle dinamiche.

La voce di Alex si stratifica con quella di Johannes Persson in Fearless: se da un lato quella della londinese è melodiosa, dall’altro il growl del cantante dei Cult Of Luna si sposa benissimo con la caotica strumentale, che strizza l’occhio proprio alla band svedese.

Il ritmo lento e cadenzato del piano ci accompagna verso la fine del disco con I’m Fine, l’ennesima prova convincente di un album composto solo da brani belli ed intensi. Pochi elementi atti a risaltare una voce sempre controllata, vera protagonista di Forever Blue.

Un debutto che suona maturo, ben equilibrato e che si candida ad essere uno dei dischi più sofferti e sentiti dell’anno.




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